Taiwan 2014. Con Chen Shiang-chyi,
Tung Ming-hsiang, Jenny Wen
Abbiamo ribadito spesso l’importanza, almeno per noi
della lentezza nel cinema, sia in antitesi alla spettacolarità movimentata del
cinema commerciale, sia di per sé, per la qualità meditativa che possiede,
perché fornisce il tempo di capire ciò che si guarda, perché è un’estetica più
propria dell’immagine analitica che delle sintesi affrettate. In questa
pellicola la lentezza si accompagna al silenzio, conferendo a ciò che vediamo
una qualità di tempo che imita la vita reale mentre le inquadrature spesso agiscono
con stile pittorico. Con questi procedimenti estetici, si approfondisce la
psicologia dei personaggi e si delinea un quadro d’ambiente.
La protagonista Ling vive una crisi a livelli molteplici:
sta per entrare nell’età della postmaturità; la figlia quindicenne si comporta con
un’autonomia spinta al punto di respingere l’affetto materno; il marito è
assente; una ristrutturazione della ditta per la quale svolge mansioni di
cucitrice la licenzia e deve ristrutturarsi lavorando in proprio.
Il desiderio e i fremiti di una gioventù superata da
tempo sembrerebbero ripresentarsi col correlativo di una scuola di tango cui si
reca una sua collega, invitandola, ma ciò non fa per Ling, la cui introversione
la porta su strade di riflessione chiusa e quieta.
Un tentativo di concedersi qualcosa di diverso, un tocco
di rossetto, indossare un vestito più carino del solito, per andare da sola al
ristorante, viene frustrato dallo scoprire dalla vetrata esterna, come se fosse
in colpa, la figlia che flirta con un ragazzo proprio in quel locale: la madre si
deterge il trucco e torna a casa frettolosamente.
L’unico rapporto umano positivo è di compassione. Accudendo
la suocera ricoverata in ospedale, si occupa anche di uno sconosciuto
sofferente con gli occhi bendati in un letto della medesima corsia. S’instaura
un rapporto di solidarietà e, in lei, una spinta verso un qualche futuro,
almeno fino a quando il letto del degente resta vuoto.
Tornata a casa, la porta difettosa dell’appartamento non
si apre dall’interno, impedendole di uscire: lei si accanisce, infine la spalanca a forza, restando seduta tra
soglia e pianerottolo.
Come nel finale, affidato più all’intuizione, all’allegoria,
alle metafore che alla rappresentazione del tutto dichiarato, è un film serio e
interessante. Impeccabile la recitazione della protagonista. Notevoli le scene di
esterni, pur se rare, che mettono in rilievo il paesaggio urbano e lo strato
sociale.
[Roberto Bertoni]