Londra, Faber and Faber, 2015
Nella cittadina irlandese, immaginaria,
di Cloonoila, Fidelma, tenutaria di una boutique, sposata con Jack, più anziano
di lei e benestante, fa parte di una comunità coesa e semplice, che ha resistito
al tempo della modernizzazione, si direbbe, nonostante qualche menzione di
cellulari e di lavoratori extracomunitari attualizzanti. La società di lettura
si riunisce per leggere classici quali l’Iliade,
anziché bestseller, come oggi invece di moda
in simili gruppi in Irlanda. I rituali e le routine
sono quelle della campagna di decenni fa, non senza esagerazione da parte dell’autrice,
dato che anche la provincia, non solo Dublino, ha al contrario subito chiari processi di
cambiamento in senso postmoderno dagli anni Novanta in poi. In breve, la
rappresentazione di Cloonoila e dell’ideologia tradizionalista dei suoi
abitanti pare più una ripresa delle tematiche dell’Irlanda di una volta,
proprie anche di storie precedenti dell’autrice, che una visione corrispondente
all’attuale livello di sviluppo.
Nel
prosieguo dell’intreccio, arriva in paese uno straniero, proveniente, dice, dal
Montenegro. Si presenta col nome di Vlad, come psicologo guaritore di
problematiche sessuali e coi tratti di una specie di guru New Age. Riesce a
conquistarsi le simpatie degli abitanti, intraprende una storia sentimentale
con Fidelma, che scopre troppo tardi la sua vera identità di criminale di
guerra, serbo di Bosnia, Presidente e comandante, responsabile di delitti
contro l’umanità. La figura storicamente adombrata in questo personaggio
fittizio è quella di Radovan Karadžić,
che al momento dell’arresto nel 2008 era sotto le false spoglie di uno
psicologo e fautore di medicina alternativa.
Vittima dei propri sentimenti, pur se ignara della
reale identità dell’amante al momento di innamorarsene, Fidelma viene aggredita
con un atto di inaudita violenza, che la priva del figlio che ha scoperto di avere
in grembo, dagli ex sostenitori di Vlad, ora suoi nemici, che lo avevano
braccato fino al remoto villaggio irlandese e si vendicano su di lei. Vlad
viene frattanto arrestato e condotto al Tribunale internazionale dell’Aia. Per
vergogna, odio, timore della comunità, alienazione dal marito, Fidelma si
rifugia in un convento, e da qui muove sola verso Londra.
La seconda parte del romanzo, in cui, sul piano
della rappresentazione sociale, O’Brien pare adottare una strategia più
realistica che in quella della raffigurazione delle società irlandese, vede,
oltre all’introspezione di Fidelma, le sue esperienze tra una comunità di
diseredati in cerca, come lei, di un lavoro: tutti, meno la protagonista,
extracomunitari o comunque stranieri, con storie difficili e tragiche.
Il romanzo si conclude con il processo dell’Aia, ove
Fidelma si reca e riesce a ottenere un incontro con Vlad, in cui gli esprime il
suo orrore per la disumanità, ma, antidostoyevskianamente, senza smuoverne la
coscienza. Torna al paese dopo che il marito, superata la difficoltà di
accettare quanto è accaduto, le paga gli alimenti e la convoca, ma è in punto
di morte. Al ritorno a Londra, Fidelma trova una collocazione più congeniale
tra i migranti.
È un romanzo
denso stilisticamente, scritto in un inglese letterario e al contempo
ampiamente accessibile al grande pubblico. È un romanzo decisamente impegnato
sul versante della coscienza e del ruolo femminile, della guerra e dell’integrazione,
mancata, dei migranti. Il titolo si riferisce a un particolare della
commemorazione dell’assedio di Sarajevo: “11,541 empty red chairs were arranged
in 825 rows […]. This
red ‘audience’ […] symbolized 11,541 victims of the war”.
In un’intervista al Telegraph (24-10-2015), O’Brien dichiara: “I felt that I should try and write something
that touched, however peripherally, on the horror that is our world today”.
[Roberto Bertoni]
[