USA 2014. Con Jeff Bridges, Katie
Holmes, Cameron Monaghan, Odeya Rush, Meryl Streep, Taylor Swift, Brenton
Thwaytes
Il film è tratto dal primo volume della quadrilogia
di fantascienza per adolescenti The Giver
Quartet (i quattro volumi pubblicati tra il 1993 e il 2012), di Lois Lowry;
e ne costituisce una lettura abbastanza fedele, tranne qualche evasione e
complicanza d’intreccio e il finale.
Si è trasportati in una società apparentemente
utopica, in cui, a soluzione di un passato bellicoso e distruttivo, si è
determinato un insieme di comunità di piccole dimensioni, con regole di controllo
razionale delle emozioni, sincerità assoluta, rispetto degli altri e delle
norme. L’apparenza consiste nel fatto che le emozioni, come in Brave New World di Huxley, sono
contenute assumendo una droga obbligatoria quotidianamente; e si pratica l’eutanasia
per i soggetti a rischio, o non corrispondenti a criteri eugenetici, o che per
una ragione o per l’altra si rivelano ribelli, dunque pericolosi per la
coesione sociale e la comunità. Né soffrono gli uccisi in questo modo, né sono
consapevoli di uccidere coloro che somministrano le sostanze letali.
Il potere politico è detenuto da un Consiglio di
Anziani. La storia è stata congelata e abolita, in quanto giudicata pericolosa per
la serenità. Le intenzioni di questa società utopica/distopica sono, a dire il vero,
di garantire il benessere. Strana la miscela di controllo delle emozioni caotiche,
contestata in questo film dallo sviluppo dell’intreccio che vede il protagonista
intenzionato a restaurarle, quando la loro nocività è lampante; e all’opposto l’eliminazione
dei diversi, che veramente non avrebbe una ragione logica di coesistere con l’assunto
precedente.
Il “giver” del titolo è l’unico individuo che ha il
dovere di conservare la memoria storica di quanto ha preceduto la fondazione di
questa società. Giunto il momento di trasmettere l’incarico a un giovane “receiver”,
nel mostrargli sia le emozioni positive quali l’affetto, che quelle negative come
la violenza, lo conduce verso una crisi personale, che spinge a una ribellione:
il giovane riesce a fuggire dalla zona delle comunità, a superare non catturato
la cinta dell’emotività soppressa, infine a disintegrarla, restaurando alle comunità
il colore (vedevano tutto, e così nel film, in bianco e nero) e le tanto agognate
emozioni.
C’è di più nell’intreccio, in particolare un triangolo
amoroso tra adolescenti; la leader della società qui descritta in conflitto con
l’intellettuale “giver”; e così via.
Non è un brutto film. In particolare la delimitazione
spaziale della zona delle comunità è ben resa, in cima a un altopiano al di sopra
delle nubi, con villaggi moderni, ecologici, di edifici ben costruiti.
[Roberto Bertoni]