17/09/14

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 16-20)



16.

al caso del mio cantuccio si cammina
a vuoto. fantasma di rovina accavalla
le gambe come una signorina. inganno
in camice chirurgico non sa operare
la rima con la vita. tacita piange la zucca
delle ceneri parenti, padre e madre simili
al cemento. urlo l’uno silenziosa l’altra
la cuccagna dell’aldilà è da vedere
con l’esame dei bocciati. le spalle ordinate
di soldatini morti. le cicale hanno smesso
per pietà di far tormento al calco dell’estate.
intruglio di penombra questa perpetua
stasi. sentire addosso le resine è cimelio
d’altitudine contro la pozza del seminterrato
d’oggi. ordigno di cometa sapere le regole
del tempo vetuste come la luna presa.


17.

le gambe affusolate dell’origine
incutono un rispetto solitario.
l’indagine di me si fa all’oscuro
dove tramonta l’ebete maligno
e si ristora la belva addormentata.
in un canestro di vuoto il lamento
della giacca lasciata lungo il viale
nero di cornacchie di malaffare.
una cura a salve mi promette pace
cornucopia di ragnatele per salvare
l’eco del tunnel che fa stramazzare
i passeri e i velluti delle spose.
in me silente la bramosia del secolo
consacra bancarelle di molestie
per le stelle che non riescono a salire.
indagine di cometa starti a guardare
alunno che non seppe la lezione
né il rospo cavernoso da salvare.


18.

quale sarà l’occaso che mi stroncherà
il viso. la giostra sarcastica che non giocherà
pietà. mano alla nebbia forestiera
si chiude il parnaso dei cipressi
i pioppi segaligni che stanno stare
al fianco della gara dei ribelli.
in tutta gratitudine voglio chiamarti
amore segno di velluto per la notte.
invece la guerra è alle porte dove
si disprezza il giorno. in un fagottello
di ghiande ho messo via chi sono
una manciata di eremi dismessi
dove piange la fanga abbandonata
l’indirizzo illusorio sul palmo della mano.


19.

Aletta di digiuno guardarti il viso
morto all’altezza della favola
di trovar vita. mitezza d’aquila
la foce senza genitori, sola.
sul foglio di ruggine è caduta
la rondine. in un dirupo di squallido
meandro si azzera la fanciullaggine
la gita pazza di rompere l’argine.
diceria del canneto amarti
sotto i sassi della discordia
la lampada canuta senza luce.
invano questo restare invano
stani nei vespri le stanze più belle
le astenie pro capite di lividi.
è un gennaio afoso quasi un agostano
storpio stanato da chissà quale bestemmia.
guancia di meringa la tua anima
manciata sulla luna e di ricordo.


20.

la gita sotto il crepuscolo
ladrone di speranza
dove si attiene il bozzolo di nascita
la stampella certa del divenire
acrobata di sterco sulla terra.
l’indugio qui a carponi trottola
di niente e sghignazza la fola della fortuna
lontana dove non avviene aureola di sole
né apostrofe d’amore. il nulla dove si aggioga
la clessidra ha il basto certo della risacca
l’acume vuoto di perdere ossigeno.





[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]