05/09/14

Katherine Mansfield, UNA TAZZA DI TÈ

["But they did have tea in that place, earlier on and on the same day" (Avoca, 2014). Foto Rb].


Milano, Frassinelli (Adelphi), 1966


Un articolo non firmato di Poetry Foundation riassume con efficacia alcuni aspetti salienti dell’opera di Catherine Mansfield (o, per rispetto all’identità fuori di pseudonimo, Kathleen Mansfield Beauchamp):

“Her language was clear and precise; her emotion and reaction to experience carefully distilled and resonant. Her use of image and symbol were sharp, suggestive, and new without seeming forced or written to some preconceived formula. Her themes were various: the difficulties and ambivalences of families and sexuality, the fragility and vulnerability of relationships, the complexities and insensitivities of the rising middle classes, the social consequences of war, and overwhelmingly the attempt to extract whatever beauty and vitality one can from mundane and increasingly difficult experience”.

La traduzione italiana e la cura del volume del 1966 sono di V. C., non altrimenti definito. I racconti scelti riflettono in effetti il giudizio anonimo di cui sopra, irradiandosi lungo l’arco della vita dell’autrice.

Cosa caratterizza, a distanza di quasi un secolo dalla scomparsa (nel 1923) queste storie, oltre le già citate caratteristiche? Ci pare soprattutto un’insolita coesistenza di premoderno e di moderno.

Premoderne, per esempio, le aspirazioni romantiche dell’inserviente di una boutique di cappelli per signora, che sogna a occhi aperti di concorrere alla benevolenza di un ricco, ma si risveglia in un appartamento misero e freddo, come in un melodramma dell’Ottocento.

Moderno, però, il nomadismo della maggior parte di questi personaggi, non di rado peregrinanti tra Inghilterra e Francia; e sradicati, soli, svuotati dentro.

Se da un lato, come si è notato spesso a proposito di Mansfield, il sostrato autobiografico svolge un ruolo principe, i suoi racconti mantengono un’autonomia che invece li distacca dall’elemento di partenza del vissuto: i personaggi si rendono indipendenti dall’autrice, vivono di vita propria, vengono presentati tramite le loro azioni e parole anche inconsistenti e leggere.

L’atroce dell’abbandono mascherato da cura per la persona amata; le bugie innocenti della sposina per ricavare qualche abitino speciale per la figliola; l’andirivieni degli umori variabili della coppia; il contrasto tra chi ha e chi non ha in termini di denaro e status sociale.

In parte crepuscolarmente chechoviane per esplicita ammissione dell’autrice, queste storie ci riportano a una ricerca dell’anima dentro di sé, a un’introspezione ottenuta tramite l’osservazione della superficie, dell’esterno, della vita che scorre.


[Roberto Bertoni]