11/11/13

Marina Pizzi, SOQQUADRI DEL PANE VIETO (2010-11, strofe 77-81)



77.

adesso non mi va di forsennare il vento
concluse aureole di non santi
né di domenica il lutto della serva
gentildonna.
in mano alle leve del gerundio
sto a capire il fato che ruba
barchette senza baci di vele.
ancora il mio cipresso è ragazzo
intùito di zucchero.
né la catena che amareggia il caso
può reggere un cagnetto di sfortuna.


78.

una foto a calvario a viso intero
caldera di morire stando spiati
dal desco del diavolo. in fondo
è una maretta senza sonno aspettare
il momento culminante la mite eclisse
destinata al perpetuo. il dio comune
non può granché giacché le ronde del buio
parlottano elemosine senza silvano amplesso
né motto di spirito. dammi un coraggio
livido di sassi dove nessuno imprima
una parola inutile. dalla tresca del sale
vo agonizzando il dado tratto il viso
lento dentro la cometa acerba. so di pianto
il sogno di carpire spasmi antiquati
cerchi prigionieri. a casa della vestale vado
a piangere l’egemonia del fosso. nessuno
imprima il bello della foce quando è finito
il lato del perimetro. qui non azzero che
occhi stralunati vinti dalla nascita. scissione
e vanto vagano dove di notte
si aggira la pendenza strapiombo di qualcuno.


79.

con un urto di gomito spezzò
la ginestra generosa
strana sposa di polvere
vero giallo di malinconia.
in colonia con l’acero rosso
sentì il diverbio dell’infamia
quella fatale stasi della rotta
contro i burocrati dei sensi.
il marittimo gelo del cipresso
lo colpì a morte. volle la pigna
quale anfiteatro contro l’ombra
contro la bravura del tetro.
in mano alla sparizione della luce
ricordò la madre diafana di fame
senza cibo per dover morire. in collera
con l’ipnosi di credere pregava ancora.
le molestie vanitose del giorno
la rendevano prisma di preghiere
per resistenza d’asma. morì mia madre
con la pressione vuota in stretto silenzio
dopo aver chiamato ogni nome in calice.


80.

metterò il salice piangente in tasca per risanare
le lacrime brutali del senza errore
questa osteria brunita dal vino
rosso sangue. esangue la luna di giochi
manca delle vertigini degl’innamorati
le parti illese che si trovano raramente.
l’indice del creato sarà una lenticchia
per me che non sono che abbecedario breve
ceduo datario senza appuntamenti.
in mano le parti vecchie della sfinge
mi daranno magia una rotonda sul mare
davvero affascinante per la rimonta
del delfino bambino tutti baci fino
da creatura imbelle il ladrocinio d’ascia.


81.

langue nel sangue un etimo d’amore
un grandioso sudario nonostante il bello
infisso nei baci più creduli.
tu soldato dalla cresima di fango
annotti sulle viscere dei tuoi compagni
paganti appello sotto la bandiera.
introito d’amore àncora di passo
dover restare donna di strazio
doloroso brigante colma resistenza.
in base all’amoroso rotto il mio cuore
di sabbia palustre senza la speranza
d’ingerire un filone d’oro.
sommario di attesa il presente
oddio se muoio in guerra con la semina
di smentire finalmente la realtà.
qui in testa all’apolide mistero
sta la nebbia del mio disastro
questa manciata d’epoca al castigo.
in base al comprensorio della fuga
sia la bellezza di leggere ombre
bambine come flutti d’onestà.
giù dal balcone è scolato Mario
quell’uomo sveglio come un rapace
verità d’agnello in quanto scomparso.



[Le strofe precedenti sono sui numeri scorsi di “Carte allineate”]