13/05/12

Han Sanping e Huang Jianxin, BEGINNING OF THE GREAT REVIVAL

Titolo originale: Jiàn Dǎng Wěi Yè. Cina, 2011. Testo di Dong Zhe, Guo Junli e Huang Xin. Con Chen Chang, Chen Daoming, Chen Kun, Chow Yun-Fat, Feng Yuanzheng, Andy Lau, Li Chen, Li Quin, Daniel Wu, Liu Ye, Angela Yeung Wing, Leehom Wang, Zhao Benshan, Zhu Xun

Tra le molte pellicole cinesi uscite nel 2011 per commemorare l’anniversario dei novanta anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, e al contempo il centenario della rivoluzione del 1911 (sulla quale, in data 15-4-2012, abbiamo recensito per “Carte” il film intitolato appunto 2011), Jiàn Dǎng Wěi Yè è un’opera ben costruita, istruttiva, recitata con compostezza e in definitiva non vuotamente spettacolare ed esclusivamente propagandistica come qualche recensione lascerebbe sospettare [1].

Come spesso nella cinematogafia cinese, la ricostruzione storica, in termini di costumi e ambienti, è accurata, il che trasporta in un mondo altro da quello contemporaneo, eppure all’origine della modernità novecentesca, in cui le scuole di pensiero confuciane si scontrano, se conservatrici, col nuovo di impostazione repubblicana e indipendentista, a sacrificio simbolico anche delle tradizioni del vestire e delle acconciature, mentre nel giro di soli dieci anni di rivoluzione, dalla caduta della dinastia Qing alla fondazione del PCC, infine soccombono pure le forme di confucianesimo più progressiste, sebbene il cammino verso la marxistizzazione della Cina si sarebbe dovuto rivelare ancora molto lungo e la proclamazione della Repubblica Popolare avrebbe dovuto attendere fino al 1949.

I dibattiti dell’epoca, sebbene dati per punti sommi, sono inseriti nelle interazioni tra le storie personali dei protagonisti, tra cui compaiono Sun Yat-Sen, Zu Enlai, Mao Zedong assieme a molti altri.

Chiari emergono la volontà di cambiamento, l’insufficienza storica del vecchio regime, l’insoddisfazione per gli accordi di Versailles dopo la prima guerra mondiale, il ruolo di spartizione interimperialista, l’ascendente colonialista del Giappone, l'emergere del comunismo in alternativa ad altre ideologie, infine l’abilità dei fondatori nel costruire un partito efficace e nell'ottenere il consenso della Terza Internazionale.

La recitazione mette in rilievo i lati umani di personaggi storici così noti (per esempio il fidanzamento, poi matrimonio, tra Mao Zedong e Yang Kaihui).

Si nota un'interazione tra dipinti e cinema in scene quali quella del primo congresso, tenuto su una chiatta, con la telecamera che in esterno riprende, come nelle tele cinesi, la barca tra le brume del fiume in inquadrature di lunga durata e analitiche.

Le passioni, gli amori, i timori, i pericoli, le folle indignate, impoverite, insorgenti, gli eserciti e il clangore delle armi, le cospirazioni. Un’epica trattenuta prima di convertirsi, come fortunatamente non accade in questo film, in oleografia declamatoria.

Come nota Chen Gang su “China Daily”, lo scopo dichiarato, nei confronti del pubblico cinese, è quello di diffondere l’ideologia dominante, con procedimenti, tuttavia, aggiornati ai tempi: la pellicola di successo commerciale e con attori di grido e il meccanismo di umanizzazione dei personaggi che promuova identificazione sul piano individuale [2].


NOTE

[1] Cfr., per esempio, J. Marsh, 23-6-2011. Più positiva la recensione di A. Webster, “New York Times”, 24-6-2011.

[2] “From The Founding of a Republic (released in 2009) to Beginning of the Great Revival, directors Han Sanping and Huang Jianxin have tried to restructure traditional mainstream movies into a certain genre that uses the operational mode of commercial blockbusters. Inherent dominant ideology, an all-star cast, and a marketed operational mode in financing, filmmaking, distribution and publicity are the three principal elements that define this genre. [...] BEGINNING OF THE GREAT REVIVAL [...] integrates the cultural heritage and social values into the plot and characters. Instead of transmitting the dominant ideology directly or forcedly to the audience, it uses a ‘flexible expression’, which is subtly hidden in the narration, to do so. It tries to restore the inner emotions of historical figures, breaking the stereotype portrayal of the characters being ‘perfect’ in every respect. It avoids lending ugliness artificially to the negative characters, too, and instead tries to open their complicated state of mind” (“China Daily”, 4-7-2011).


[Roberto Bertoni]