21/10/10

Pradeep Sarkar, PARINEETA

India 2005. Sceneggiatura di Sarat Chandra Chattopadhyay, Vidhu Vinod Chopra, Rekha Nigam e Pradeep Sarkar. Con Vidya Balan, Sanjay Dutt, Saif Ali Khan, Diya Mirza, Raima Sen.

Siamo un po' delusi dalla maggioranza dei film di Bollywood del ventunesimo secolo che siamo riusciti a vedere in qualche sala soprattutto londinese di quando in quando e in parte online. Se la rappresentazione sociale stimola sempre qualche riflessione, le estetiche luccicanti e le musiche modernizzanti, con una certa perdita delle abilità anche di danza e canto, che vengono piuttosto, ci pare, semplificate, nonché una, si direbbe, più ampia globalizzazione e commercializazione, ci lasciano un che perplessi, o quanto meno, soggettivamente, meno interessati rispetto ai prodotti degli anni Ottanta e Novanta, in cui si raffigurava un mondo in transizione tra tradizione e postmodernità con la conseguente proposta di conflittualità più accentuate, drammi umani che si annidavano nel pur presente sfondo di commedia e nella cornice destinata alla larga circolazione. Parliamo, non sarebbe forse nemmeno il caso di chiarirlo, del cinema di diffusione prevalentemente commerciale, non del notevole cinema indiano d'autore, ormai più visibile anche in Europa. Varie eccezioni, e ce ne sono di numerose in una produzione così copiosa ogni anno, tra quanto siamo riusciti a vedere, le abbiamo recensite su "Carte". Precisiamo infine che noi siamo piuttosto inclini verso un certo Bollywood, la cui forma popolare e per questo spesso criticata da alcuni negativamente, non ci rende anzi ostili, al contrario ci pare un'enfatizzazione del melodramma, uno spettacolo della vivacità; e nascondeva, almeno fino a tempi recenti, un conglomerato di scelte personali ed etiche che cedono forse oggi il passo non troppo raramente alla pura e semplice spettacolarizzazione.

Abbiamo visto con un certo interesse, dunque, PARINEETA, tratto da un romanzo del 1914 di Chattopadhyay e riedizione di una pellicola del 1953 che si era imposta con una sua fama. La storia è quella di un amore contrastato tra due giovani provenienti da due famiglie di conoscenti, una ricca e una povera; e forse per questo la versione del 2005 è retrodatata agli anni Settanta, come se avesse meno significato di attualità nell'India odierna in termini di difficoltà di scelte relative al matrimonio, pregiudizi di classe sociale e comportamenti affettivi.

I protagonisti, il benestante Shekhar e la misera Lalita, vicini di casa, si conoscono fin da bambini e sembrerebbero destinati al matrimonio, dato l'accordo e i sentimenti che esistono tra di loro. Tuttavia il padre di Shekhar, un avido speculatore, tramite un prestito al padre di Lalita, lo indebita e tenta di appropriarsi del palazzo in cui la famiglia abita, ereditato prima del tracollo economico che l'ha condotta all'indigenza, per trasformarlo in un albergo. Un cugino che ha fatto fortuna in Inghilterra riesce a salvare la situazione, ma l'ira del vicino potente provoca un infarto al padre di Lalita, mentre Shekhar, pur avendo "sposato" la ragazza con un rito simbolico e privato, ritenendo che lei si sia invece promessa al cugino, per gelosia la respinge. La famiglia di Lalita viaggia verso il Regno Unito per cercare di salvare il malato, che tuttavia muore. Quando tornano in India, finalmente, non senza un'attesa di forse mezz'ora (com'è proprio della lunghezza dei film popolari indiani), con vari avvenimenti da dramma degli errori, finalmente gli equivoci si chiariscono: Lalita non si era affatto sposata col cugino, che aveva preso in sposa la sorella di lei, anzi era rimasta fedele alla promessa fatta a Shakhar, che insomma, ed era ora, prende l'iniziativa, si ribella all'autorità paterna il giorno del suo matrimonio combinato con l'esponente di una famiglia doviziosa, col consenso, notevole per emancipazionismo, della madre, infine riconquista Lalita, che sposerà questa volta ufficialmente. Sipario.

Alleggerito dalla recitazione lieve della protagonista femminile (l'attrice Vidya Balan), mentre il protagonista maschile (Saif Ali Khan) recita la parte del mucisista sensibile e impulsivo, sordo ai richiami della razionalità e impaziente secondo un copione assegnato non troppo duttile, e il cugino è l'attore protagonista spesso di commedie Sanjay Dutt, qui invece investito di un'autorità di neocapofamiglia un che moraleggiante, il film si dipana con una certa agilità e mette in discussione il patriarcato, l'avidità eccessiva, la disparità tra poveri e ricchi, che ora a ripensarci, pur catapultate una quarantina di anni addietro, si direbbe siano problematiche piuttosto attuali dell'India contemporanea. Lo sfondo geografico è Kalkata (Calcutta), ripresa con quadri d'epoca ed esterni ed interni di interesse.

[Renato Persòli]