07/06/10

Zhang Jiabei, CHERRIES


[Plate. (In its double meaning). Foto di Marzia Poerio]

Zhang Jiabei, CHERRIES. Cina, 2007. Sceneggiatura di Bao Shi. Fotografia di Osame Maruike. Con Tuo Guoquan, Long Li, Ma Liwen, Miao Pu

La fotografia di Osame Maurike annuncia la propria importanza di contesto di questa storia inserita in seno alla natura fin dalle prime immagini di nuvole e nebbie mattutine sul verde scuro di una vallata coltivata a riso mentre la telecamera degrada dal cosmico all'umano verso i versanti terrazzati a risaia e le case del paese di Aicun, nella regione dello Yunnan, zona di interesse paesaggistico e con un'antropologia ecologica e umana di grande valore, oggi, ma che nel film si determina in quanto aspetto di quotidianità e di vita delle popolazioni che la abitano, còlte nelle loro attività senza concessioni oleografiche o turistiche, al contrario situate nella situazione del lavoro agricolo, finanche nella desolazione della povertà quasi assoluta della famiglia protagonista e in un àmbito pre-consumistico, collocabile cronologicamente tra tardi anni Settanta e primi anni Ottanta, come si deduce da un riferimento alle "Quattro modernizzazioni", ovvero alla politica economica lanciata da Deng Xiaoping nel dopo-Mao, citate da megafoni mentre i contadini lavorano nei campi e che a dire il vero sembrano quasi estranee alle preoccupazioni concrete di chi le ascolta. "A quei tempi", dice la voce narrante fuori campo, quella della ragazza di nome "Scarlatta" che ai nostri tempi vede il passato come se fosse una preistoria, presumibilmente in una Cina che si è sviluppata così rapidamente. Uno dei meriti del film è proprio quello di rappresentare tanto la bellezza del paesaggio, quanto la verità della miseria, con un occhio che, restando partecipe, non nasconde la realtà e non la idealizza.

L'intreccio narrativo è costruito attorno a un nucleo familiare di tre persone. Ge Wang, contadino miserrimo e zoppo, ha sposato, in parte per umanità, in parte perché, a causa dell'infermità, non aveva scelta, un'orfana allevata fin da bambina dalla sua famiglia e di nome "Ciliegia", così chiamata dalla passione per i frutti che coglie da un albero nelle vicinanze della casa e regala ai bambini che le sfuggono e la deridono per la disabilità mentale da cui è affetta. La moglie trova un giorno sotto il ciliegio una neonata abbandonata dai genitori; e la voce fuori campo spiega la ragione dell'abbandono, la politica di avere un solo figlio che spingeva in certi casi a privilegiare i maschi rispetto alle femmine. Ciliegia si dimostra subito attenta e affettuosa verso la bambina, cui viene dato il nome di Scarlatta. Per la miseria in cui versano, Ge Wang cerca di affidarla a una famiglia prospera residente nella città più vicina, ma Ciliegia ostinatamente la cerca, assentandosi per giorni da casa, finché il marito non accetta di tenerla, coadiuvato dal capo del villaggio in grado di offrire un sostegno pur minimo. Si instaura un rapporto felice tra la bambina e la madre nei primi anni di vita. La ragazzina cresce e va a scuola: in questa parte della sua vita prova imbarazzo per la madre che la osserva studiare da un balcone antistante il suo banco, la ricopre di attenzioni, ma a causa della propria condizione è derisa dai compagni di classe. Un episodio infine apre gli occhi alla ragazza, che prende a occuparsi della madre e ad ascoltare il padre che la difende, rendendosi indipendente dal giudizio dei suoi pari. Si restaura così un equilibrio nella famiglia. La storia però finisce in tragedia quando Ciliegia scompare, forse affogata, forse persa nelle infinite campagne della zona, introvabile. Dalla nostalgia priva di retorica per il passato e dalla necessità di testimoniare agli altri il lascito della madre e del padre, la ragazza, oggi infermiera, e che con questo lavoro ha portato dignità e nobiltà alla famiglia adottiva, narra la storia che abbiamo visto.

È un film umano, ben eseguito, socialmente interessante e poetico.


[Renato Persòli]