17/06/10

TUIAVII, PAPALAGI, a cura di Erich SCHEURMANN

Sottotitolo: DISCORSO DEL CAPO TUIAVII DI TIAVEA DELLE ISOLE SAMOA, Roma, Stampa alternativa, 2010

Non è certo chi abbia scritto questo libro, pubblicato, dice la prefazione a nome Erich Scheurmann, nel 1920 in Germania. Tuttavia, che l'abbia scritto il samoano Tuiavii, il capo samoano che viaggiò per l'Europa e tornò a Samoa a riferire quel che aveva visto e compreso, o Scheurmann, o anche altri, in un certo senso poco importa, perché il messaggio colpisce comunque il bersaglio prefissato, che è quello dell'eurocentrismo, della presunzione di superiorità della cultura di chi approdò su quelle isole e decostruisce con intelligenza i miti di cui si paluda quella che si era definita come civiltà in opposizione al primitivismo, dimostrando, con riferimenti metaforici agli oggetti della quotidianità samoana, con ragionamenti chiari e inequivocabili, non solo la tendenza a sopraffare bensì anche la stoltezza dei nuovi arrivati.

Il Papalagi è lo straniero, il bianco, l'europeo.

Ogni suo elemento di vita e società contrasta con la natura e il senno. Riguardo la residenza, il Papalagi "vive come la conchiglia di mare in un guscio sicuro. Vive come la scolopendra tra le fessure della lava. Le pietre sono tutte intorno a lui, al suo fianco e sopra di lui. La sua capanna è un vero e proprio cassone di pietra. Un cassone con molti ripiani tutto sforacchiato" (p. 14). Le città sono pericolose. La "gente di campagna" è disprezzata (p. 19) e l'uomo di città pensa di avere più diritti dell'agricoltore. Si tratta di una felicità "dubbia" perché "solo uomini smarriti e malati, che non stringono più la mano di Dio, possono vivere felici tra fessure di pietra, senza sole, luce e vento" (p. 20).

Insensato è l'uso dei soldi e provoca ingiustizie, pertanto "guardiamoci dal denaro" che "il Papalagi porge anche a noi per renderci avidi" (p. 27).

Al Papalagi manca il tempo e possiede gli oggetti invece di condividerli; lavora e guadagna per comprare delle cose invece di investire il tempo in modo piacevole e utile a tutti. È incapace di non pensare.

E così di seguito, in una requisitoria pacata quanto ironica e ben scritta. Con la conclusione che non si tratta di emulare il Papalagi come lui vorrebbe, semmai "ci dobbiamo guardare da tutto quello che ci vorrebbe togliere la gioia di vivere, da tutto quello che mette in lite la nostra testa con il nostro corpo" come se si trattasse di "una malattia che diminuisce molto il valore di un uomo" (p. 69).

Corredato da fotografie d'epoca dei samoani, questo libro è agile e acuto, scorrevole e capace di scalzare la'arroganza, mettendo in rilievo il relativismo della cultura materiale e spirituale.


[Roberto Bertoni]