09/10/08

Pupi Avati, IL PAPÀ DI GIOVANNA

Il libro (Milano, Mondadori, 2008)

Storia narrata da un autore onniscente che ha per protagonista Michele, padre, professore e marito, che insegna, educa, protegge, rassicura.

Figlio di un pugile che non ha mai sfondato ma che stimava immensamente solo per aver inseguito la gloria.

Allievo dell’Accademia di Belle Arti mai diventato artista; compagno di quel Giorgio Morandi di cui mai scriverà la biografia; amico di Sergio, poliziotto dongiovanni che rappresenta tutto quello che lui non è; Michele sembra vivere e gioire solo della gioia e dei successi altrui, reali (Morandi, Ghia) o no (il padre).

Conosce Delia guardandola negli occhi mentre lei posa nuda all’Accademia, salvandola dalla miseria in cui versa dopo la fuga da casa e l’abbandono del suo primo fidanzato con un matrimonio di convenienza.

Con la nascita di Giovanna, Michele vive solo per salvarla dall’abulia alla quale, replicandolo in tutto, è destinata; cerca continuamente di “liberarla dalla sfiducia, dal pessimismo, dal senso di inadeguatezza”, dalla “consapevolezza dello schifo dell’esistenza”, cerca di educarla alla felicità.

Delia, a differenza del marito, dalla vita è stata sommersa e ferita, e cerca di salvarla dalle pericolose illusioni, spiegandole la necessità di sofferenza e sfortuna.

Padre e figlia sono uguali, complici; la madre è diversa, irrimediabilmente lontana da loro.

Michele la crede distante in quanto diversa e migliore, Delia si sente invece inferiore ed esclusa.

Giovanna vive la lacerazione tra volontà di credere al padre, che le parla continuamente della sua bellezza interiore e delle sue potenzialità seduttive e impossibilità di negare la realtà così diversa continuamente portata sotto i suoi occhi dalla stessa presenza della madre, finchè la sua mente cede e la tragedia piomba sulla famiglia.

Michele se ne addossa la colpa, Delia si sente esclusa e si autoesclude.

Solo dopo un lungo periodo di separazione di Michele da Delia e di Delia da Giovanna, e un lento processo di riconoscimento reciproco, sarà possibile superare la tragedia.

Non quella esterna, pubblica, rappresentata dal crimine, ma quella interna, privata, della mancata comunicazione.

Un’incominicabilità molteplice, tra madre che si sente esclusa e figlia che la sente distante, tra padre che crede di conoscerla e figlia che non riesce a farsi conoscere.

Solo dopo aver attraversato la tragedia, madre e figlia riescono a rivolgersi una frase banale, in un contesto quotidiano, comunicando per la prima volta, e la famiglia riconquista la normalità.


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Il film (2008. Con Serena Grandi, Ezio Greggio, Francesca Neri, Silvio Orlando, Alba Rohrwacher)

Impeccabile la ricostruzione storica, non un particolare fuori posto, non uno scenario, un'atmosfera che non renda perfettamente l'idea dell'epoca e del clima.

Perfetta la scelta degli attori e anche solo delle facce. Il dongiovanni della scuola e la commessa della tabaccheria non sono il bel ragazzo e la bella ragazza di oggi vestiti vintage, ma bellezze considerate tali da quell'epoca, non certo da questa.

Nessuno che non sia perfetto per il suo ruolo.

Ezio Greggio nella parte di quello che se la cava sempre perchè ha le mani in pasta dappertutto, di quello capace di raccontarla a tutti, scelto forse proprio perchè sgamato, compare nell'immaginario collettivo.

Francesca Neri starebbe benissimo accanto a lui e invece è la moglie di Michele Casali - Silvio Orlando, ed è evidente quanto non c'entri nulla nè con lui, nè con la situazione nè con la sua stessa figlia.

Peccato che nè il poliziotto Sergio Ghia – Greggio -, nè la bella Delia - Francesca Neri - abbiano molto spazio.

Parlano e vivono sottovoce. Mostrano una personalità, ma solo abbozzata, le loro reazioni sembrano ovattate, le loro emozioni frenate, specialmente per quanto riguarda Delia, nelle scene di maggior drammaticità mantengono un eccessivo contegno arrivando solo ad una drammaticità edulcorata a tratti addirittura banalizzata (banalizzata rispetto al libro: ad esempio quando rinfaccia al marito di non aver concluso nulla nella vita, nel film lo fa con troppa calma; o quando al cospetto dell'abito della figlia macchiato di sangue si porta la mano davanti alla bocca per non gridare, nel film, banalmente, piange).

Ancor meno risalta la moglie di Sergio, Lella-Serena Grandi poco più che comparsa, mentre nel libro ha un suo ruolo ben definito, di donna bella ma segnata dalla malattia, paziente, amorevole, materna, tra le cui braccia piange Delia alla notizia dell'arresto della figlia.

Ma forse il silenzio e l'immobilità di Sergio e Delia servono a mettere in luce il movimento e il tormento di Michele e Giovanna.
La storia è la loro storia, di padre e figlia; il padre protagonista attivo, la figlia vittima della storia, che però compensa il suo ruolo minoritario nell'azione con la narrazione in prima persona.

Il loro percorso simbiotico, la loro complicità, la loro unione indissolubile sono perfettamente delineate fin dall'inizio. Evidenti a tutti, anche a chi non ha apprezzato il film.

Lei bruttina e “particolare”, diversa, emarginata, lui che cerca di incoraggiarla a vivere.

Il sospetto che lo attanaglia, il sollievo e poi la caduta del macigno della tragedia a distruggere la fragile quotidianità.

Il padre che continua ostinatamente ad amare la figlia, ad assecondarla, a guidarla, a comunicare con lei adattando a lei il suo linguaggio e trovando sempre un canale. La madre assente.

La madre è presente con la sua assenza, ma il silenzio sul suo passato, sui suoi discorsi alla figlia, sul suo tentativo frustrato di comunicazione rendono ancora più difficoltosa la decodifica del messaggio finale del film.

Messaggio molto al di sotto della lettera del testo. Sulla comunicazione.


[Marianna Orsi]