È il 2008 e sono trascorsi cento anni dalla nascita di Elio Vittorini a Siracusa il 23 luglio 1908 (morì a Milano il 12 febbraio 1966).
La presenza di Vittorini, durante gli anni della sua vita, nella cultura italiana è stata essenziale e vitalizzante, non solo in quanto narratore, ma come consulente editoriale per Bompiani ed Einaudi e fondatore delle riviste “Il Politecnico” (1945-1947) e “Il Menabò” (1957-1959).
“Il Politecnico” è, a parere di chi scrive queste note, tuttora una rivista di valida impostazione e in larga misura attuale. Non si può confinare questa rivista al contrasto tra Vittorini e Togliatti; nè sarebbe interpretazione rispondente interamente ai fatti delimitarla entro i parametri di una richiesta di libertà astratta da parte di Vittorini. Egli rivendicava di “non suonare il piffero per la rivoluzione” mentre Togliatti difendeva il diritto di un partito ad avere una posizione specifica sull’arte. Se in tali suoi termini storicizzati si tratta di una polemica legata al rapporto tra scrittori e comunismo degli anni Quaranta, è oggi superata. Tuttavia la libertà di espressione degli artisti dovrebbe tuttora essere garantita rispetto alle pressioni della politica, come non pare sia sempre accaduto nell’Italia degli ultimi quattordici anni… Inoltre, le posizioni di coerenza e la doppia fedeltà degli intellettuali a ideologie e poetiche, la loro necessaria autonomia nell’ambito dello specifico letterario, come Vittorini le intendeva, fanno parte di una visione delle cose che, in un contesto moderno e più ampiamente europeo, si ritrovano in pensatori anche recenti, come Bourdieu con la sua concezione del “campo culturale” e della funzione di naturale divergenza degli intellettuali da varie forme di establishment. Su altri piani, infine, dalle pagine del “Politecnico” si delineava la possibilità di un neoumanesimo dopo la guerra e la barbarie nazista, una collaborazione tra esponenti di diverse ideologie in nome della responsabilità sociale degli autori, una rivalutazione della cultura della sperimentazione e del disagio accanto alla stagione realista italiana. Altrettanto stimolante e innovativo fu “Il Menabò”, con l’impostazione di una discussione socioculturale aggiornata sui contenuti e le estetiche della nuova era aperta dalla trasformazione industriale.
Come narratore, Vittorini è un autore fedele a se stesso. Pur nella varietà delle storie che scrisse, dal lirismo di SARDEGNA COME UN’INFANZIA (1932-1952), al romanzo di formazione IL GAROFANO ROSSO (1933-1934), al capolavoro che è CONVERSAZIONE IN SICILIA (1941) tra storia, mito, psicanalisi, realismo, espressionismo, ironia e tragicità, al doppio registro individuale e corale, storico e introspettivo, descrittivo e giudicante di UOMINI E NO (1945), agli altri romanzi, si ritrovano le iterazioni, le evocazioni, i richiami a una condizione arcaica imbevuta di modernità, un vitalismo espresso con leggerezza, una scrittura limpida e ansiosa.
Nel XXI secolo, la critica si è forse finora occupata di Vittorini meno che in decenni precedenti. Si segnalano qui alcune opere che sono sembrate a chi scrive utili e interessanti. Sul piano biografico risaltano la testimonianza non pedante e il ritratto non cronologico di Demetrio Vittorini in UN PADRE E UN FIGLIO (2000), Milano, Baldini&Castoldi, 2002. Opera complessiva, in lingua inglese, è il volume di Guido Bonsaver, ELIO VITTORINI: THE WRITER AND THE WRITTEN, Leeds, Northern University Press, 2000. Roberto Bugliani ha scritto un interessante saggio sull’allegoria nel GAROFANO ROSSO (“Allegoria”, 49, 2004, pp. 53-67). In L’ESSERE TRA UOMINI. PRIMA DELLA BRUGHIERA, DENTRO LA CITTÀ: LA FAVOLA TRISTE DI ERICA E I SUOI FRATELLI (“Studi novecenteschi”, 33, 2005, pp. 389-404), G. Varone analizza ERICA E I SUOI FRATELLI e, tra i vari aspetti, il simbolo della pietrificazione. “Il Politecnico” compare in un articolo di E. Serra su “Nuova Antologia”, 2231, 2004, pp. 149-55. A cura di Anna Panicali, un volume collettivo di “Riga” (21, 2002) ricostruisce materiali, testi e storia della progettata rivista vittoriniana “Gulliver”.
Uno scrittore da non dimenticare, da leggere e rileggere.
[Roberto Bertoni]