1.
MAGNITUDO 10
La perizia fotografica
Del trascorrere degli anni
Tempo mastodonte
Dell’attimo congelato
Materici déja-vu
Mesmeriche figure
Affollano i sogni
In ritorni fuggenti
Niente è come ieri
È già andato
È una costante
Un divenire
Cassiopee spente
Che noi crediamo vive
Frantumate implodono
Raffreddano l’anima
Crolli interiori
Di magnitudo 10
Incidono incedono
Solcano profondo
Niente è come ieri
È già andato
È una costante
Un divenire
La memoria
Codifica segnali
L’escremento attesta
La nostra presenza
La cornea pura
Lo sguardo terso
Del bambino indagatore
Acuto scopritore
Niente è come ieri
È già andato
È una costante
Un divenire
Inesistente presenza
Presente inesistenza
Fisicità cannibale
Divoratrice temporale
Assemblare ricordi
Occultare scatole
Di liquido amniotico
Di pomice lavica
Niente è come ieri
È già andato
È una costante
Un divenire
2.
LIED PERIFERICO
Percorso di porcellana
Vitreo deserto bianco
Caselle incastonate
In pareti di cemento
Angoli di vita
Presenze solitarie
Fragili inquietudini
Domestiche abitudini
Vasche di ghisa bianca
Ingiallita consumata
Condotte d’acqua satura
Nascondono segreti
Cubici appartamenti
Palazzi tutti uguali
Scale di ferro nero
Odore di detersivo
Schegge d’asfalto arido
Solido compatto
Che esili gambe
Hanno consumato
Setole d’erba secca
Estirpate sradicate
Spazi numerati
Asmatici parcheggi
Camere di controllo
Croniche incubazioni
Metalliche linee curve
Lampioni in estinzione
Luce d’insetti
Secchi tramortiti
Brucianti di calore
Di lampade fameliche
Sbattere di ali
Tracciate traiettorie
Impatto di falene
Su vetri impenetrabili
Neon di porticati
Irradiano fredde ombre
Piazze periferiche
Memorie partigiane
Ossa di mattoni
Alzano le visuali
Profonde fondamenta
Solcano la terra
Semafori d’incroci
Riflettono lucenti
Borse di vinile
Nomi serigrafici
3.
LA TENEREZZA DEL LUPO
Chi si avvicina ora
A chiedere come stai
A guardare nella profondità
Dei tuoi occhi stanchi
Tutto è restato dentro
I sentimenti la furia
Niente sgorga fuori
Nel frastuono dell’urlo
Chi si avvicina ora
A chiedere dove vai
A guardare dentro i tendini
Il grado di sopportazione
Tutto è restato dentro
I sentimenti la furia
Niente sgorga fuori
Nel frastuono dell’urlo
Chi si avvicina ora
A chiedere chi sei
A tenderti una mano
Per sollevarti dalla polvere
Tutto è restato dentro
I sentimenti la furia
Niente sgorga fuori
Nel frastuono dell’urlo
Chi si avvicina ora
Nella paura del riaverti
Lontani aspettano
Che tu sparisca
Tutto è restato dentro
I sentimenti la furia
Niente sgorga fuori
Nel frastuono dell’urlo
BENZO: IL SENSO E IL SENTITO
Benzo (pseudonimo di Renzo Daveti) legge le sue poesie con voce recitante stentorea, ritmata. L'emissione vocale è importante, sottolinea l'iterazione dei versi, cerca una via di espressione a quanto "è restato dentro". La parola scritta è un "vitreo deserto bianco" che contrasta con l'enfasi dell'oralità. Ogni verso "è già andato", è "un divenire". Così, ci pare, sul piano metaletterario.
Ma la vita del soggetto c'è, ineliminabile: è questa la "costante" che sembra contraddire ciò che muta divenendo? La realtà interiore, le dinamiche dell'esistenza vengono annunciate e rese nei loro metodi più che nei contenuti concreti: "sentimenti", "traiettorie", "ombre", "trascorrere degli anni", "crolli interiori".
Frattanto si allude a una realtà esterna delimitabile, afferrabile: la memoria storica, la periferia.
Parrebbe di trovarsi sulla scia di Campana e dei futuristi; in modo poi ridetto come in un rap, moderno e personale.
[Roberto Bertoni]