30/03/07

Zigmunt Bauman, INTERVISTA SULL'IDENTITÀ

A cura di Benedetto Vecchi.
Roma-Bari, Laterza, 2003


Ci troviamo ad attraversare la tarda modernità, fase instabile, connotata da identità mutevoli e incerte, che Bauman descrive con attenzione. Il suo discorso è vasto, ma qui se ne raccolgono solo pochi punti indicativi.

Nell'ambito ideologico, che sta alle spalle del suo ragionamento esistenziale-sociale, Bauman insiste sul "pensiero unico del neoliberismo e del libero mercato senza alcuna regola" (come già sosteneva Pierre Bourdieu) (p. 30).

Riguardo la stratificazione della società:

"[…] non essendoci più la classe come perno sicuro su cui far leva per rivendicazioni disparate e diffuse, lo scontento [...] è disperso in un numero infinito di rimostranze di gruppo o di categoria, ognuna alla ricerca di un proprio ancoraggio sociale. Il genere, la razza e il passato coloniale si sono rivelati le più efficaci e promettenti tra di esse" (p. 39).

Sebbene non si ritenga di poter assolutizzare forse tanto quanto propone Bauman, è però vero che la situazione da lui qui sopra delineata fa parte di una revisione delle identità collettive e delle forme di appartenenza degli ultimi decenni.

Corretta pare l'identificazione della necessità di quell'"ancoraggio", un ubi consistam, ovunque esso oggi sia; e non più, almeno in prevalenza, legato alle utopie, dato che "in questo momento stiamo passando dalla fase 'solida' alla fase 'fluida' della modernità: e i 'fluidi' sono chiamati così perché non sono in grado a lungo di mantenere una forma" (p. 59).

Il nostro è il pianeta della "modernità liquida" (p. 27), il che significa che, a differenza del mondo che ci ha preceduto, in cui "le identità dovevano avere contorni chiari e privi di ambiguità", nell'era attuale "le identità svolazzano liberamente e sta ai singoli individui afferrarle al volo usando le proprie capacità e i propri strumenti" (p. 31).

L'identità contemporanea è dunque labile, caratterizzata da fragilità e molteplicità. Un risvolto è il seguente:

"i gruppi che gli individui privati dei quadri di riferimento tradizionali 'cercano di trovare o fondare' sono tendenzialmente, al giorno d'oggi, gruppi mediati elettronicamente, fragili, 'totalità virtuali' in cui è facile entrare e che è facile abbandonare. Un surrogato assai mediocre delle forme di socialità solide" (p. 25).

Le manifestazioni "solide" sono diventate "impopolari" (p. 31). I gruppi e i luoghi tradizionali cui ci si affidava nella definizione dell'identità in passato (lavoro, famiglia, vicinato) non esistono più o "non sono disponibili": perciò "non c'è ragione per attendersi che la lealtà verso il gruppo o l'organizzazione venga contraccambiata" (p. 33); e non è da quei luoghi e istituzioni che viene la fine della solitudine in cui vive l'umanità contemporanea.

Anzi, l'identità flessibile, nonostante abbia sostituito forme opprimenti, o sentite come tali, di individuazione di gruppo, è a sua volta, e forse anche di più, "sul lungo periodo una condizione sfibrante e ansiogena" (p. 31). Concordiamo: può essere faticoso e disindividuante passare di luogo in luogo e di periodo in periodo della vita in modo frammentario non continuativo, riscostruendo costantemente i parametri di riferimento, con nomadismo geografico e psicologico.

Finisce che venga scelta una compensazione quantitativa alla mancanza di qualità sociale, cioè si baratta l'identità definita una volta per tutte con una "rete di connessioni" temporanee e adatte alla situazione in cui di volta in volta ci si trova a vivere, il che toglie ulteriormente stabilità (p. 34).

Passeggere sono anche le autorità di oggi che "verranno derise domani", le persone celebri e ammirate proposte dai mass media, i titoli azionari, le carriere (p. 60).

"Per la grande maggioranza degli abitanti di un mondo di modernità liquida, atteggiamenti come la preoccupazione per la coesione, l'adesione alle regole, il giudicare sulla base dei precedenti e il restare fedeli a una logica di continuità invece di fluttuare sull'onda di opportunità mutevoli e di breve durata, non sono opzioni promettenti". I progetti di vita (da Sartre "projets de vie") hanno perso "la loro capacità di attrattiva" (p. 63).

Non l'hanno persa per tutti… vorremmo concludere, lasciando aperto il discorso all'interpretazione personale di ciascuno.


[Roberto Bertoni]