10/02/07

Giacomo di Witzell, COME DENTRO LA NOTTE

A cura di Francesco Macciò, Lecce, Manni, 2006


La vicenda si svolge in una Trieste notturna percorsa da un narratore in prima persona che si aggira tra bar di giocatori di scopone scientifico e bevitori, tra ambienti frequentati da prostitute e visitati con umanità e pietà, in spazi esterni architettonici e di natura; partecipa a conversazioni; evoca una storia d'amore, riscontrando un senso di non appartenenza, che è del resto emblematico degli esseri nella tarda modernità, circondati dagli altri e allo stesso tempo soli:

"A questi luoghi, a questa gente, forse anche alla ragazza slovena con la quale avevo trascorso momenti felici avrei potuto appartenere; ma anche le scelte che avevo fatto non erano state tutte mie. Erano come preordinate da un'aspirazione costante alla solitudine, che fondava lo stato di libertà in cui mi riconoscevo, in cui abitavo pacificamente" (p. 54).

I luoghi triestini, i riferimenti della gente, a volte anche il dialetto danno identità a queste manifestazioni del locale percorso come altrove dai problemi della globalizzazione, con persone di provenienza non italiana accanto ad abitanti della città, evocazione di siti joyciani, cenni a Winckelmann, al Carso della guerra, ad altri elementi di identità culturale e storica della zona.

Il moderno flâneur cammina tra "resti, segmenti di colonne... memorie incongruenti, ricomposte in armonia, in unità" (p. 19), segni della configurazione urbana come pure della tecnica narrativa adottata; "il territorio di tutte le guerre e di tutte le conciliazioni possibili" (p. 20), con riferimento alle vicissitudini triestine, ma anche agli strati dei ricordi del protagonista. Metaletterariamente l'incoerente collegato e i conflitti ricomposti sono questa storia o forse diario senza trama, che si configura tramite una serie successiva di quadri e incontri, come accade nella struttura del vittoriniano CONVERSAZIONE IN SICILIA, qui citato in quanto proposta di prototipo novecentesco italiano anziché come un modello, data la diversità di impianto tematico tra le due opere.

Da un lato il narratore garantisce l'interezza e la chiarezza del mondo assicurando la credibilità dei fatti narrati tramite un punto di vista realistico tendente a fornire una rappresentazione mimetica di situazioni e individui. Dall'altro lato, con un opposto movimento verso la decostruzione e l'enigmaticità, si premura di mettere in dubbio ciò che ha proposto come esistente per mezzo dello spostamento della persona narrativa: chi racconta sembra essere chi dice io, ma in una nota conclusiva intitolata AI LETTORI si suggerisce che abbia scritto il testo un personaggio, il Conte, in cui ci si è imbattuti nel corso della narrazione. Siamo tuttavia ancora a due paternità fittizie, perché c'è più di un sospetto che il vero autore sia Francesco Macciò, il quale invece sotto falsa identità col proprio nome nella PRESENTAZIONE (pp. 5-7) si passa per il curatore, definendo il volume uno "strano libro" che è "capace [...] di ibridazioni"; rinuncia ai "meccanismi collaudati della FICTION", ma comprende "punti di sosta e riflessioni" per il fruitore; ha un andamento "itinerante", fondato su un'"idea di circolarità del tempo, oltre che dello spazio"; prende a "filo conduttore" il viaggio "nelle sue plurime valenze, anche metaforiche", cioè "acquisizione di conoscenza" oltre che "via di crescita e insieme di declino".


[Roberto Bertoni]