31/12/14

CARTE ALLINEATE. Seconda serie, numero 30, Dicembre 2014 / Second series, issue 30, December 2014

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INDICE ALFABETICO / INDEX

Le voci elencate qui sotto senza il nome dell'autore sono state scritte, e le foto sono state scattate, da Roberto Bertoni. / Entries listed below without the name of the author were written, and pictures were taken, by Roberto Bertoni.

- CHUNG, Shi Young, CONTEMPORARY KOREAN ART. Storie di immagini, 17-12-2014.
- CORONA, Mauro, UNA LACRIMA COLOR TURCHESE. Note di lettura, 23-12-2014.
- KING, Sally B., SOCIALLY ENGAGED BUDDHISM. Note di lettura, 11-12-2014.
- KO, Un, COS’È? Note di lettura, 5-1-2014.
- MEEHAN, Paula, FINESTRA SULLA CITTÀ. Testo, 1-12-2014.
 

29/12/14

Zhang Yimou, COMING HOME



["Those two little thoughtless Chinese ads... by contrast to the film we'd seen..." 
(Paris 2014). Foto Rb]


Zhang Yimou, Coming Home. China 2014. Con Chen Daoming, Zhang Huiwen, Gong Li

Tratto da un romanzo di Yan Geling, come già I tredici fiori di Nanjing, questo film conta su una recitazione di alto livello, non solo (sebbene forse soprattutto) per merito di Gong Li, che entra nella parte di una donna di mezza età del periodo della rivoluzione culturale come se fosse sempre vissuta in quella realtà, con sorprendente naturalezza ed emotività non affettata; ma ottimi sono gli altri due attori protagonisti: Chen Daoming, che conferisce profondità e umanità al personaggio maschile, e Zhang Huiwen, quest’ultima non solo allegoria della freschezza giovanile stroncata dal dramma familiare, ma anche abile interprete dell’opera maoista degli anni Sessanta, di cui si vedono alcune prove nel corso della pellicola.

La storia è quella di una famiglia lacerata dalle vicende politiche. Il padre Lu Yanshi, professore universitario, fugge da un campo di prigionia ove si trovava in rieducazione. Per timore delle conseguenze negative sulla figlia, che partecipa a un balletto nell’opera delle Guardie Rosse, e potrebbe avere una parte di rilievo, ma soprattutto per non rovinarle il futuro, la moglie Feng Wanyu non lo accoglie in casa. La figlia Dandan, per ingenuità, seguendo la promessa di un ruolo chiave nell’opera da parte di un funzionario del Partito Comunista, denuncia il padre, facendolo riarrestare.

Da quel momento si attua una nemesi e una rettifica delle coscienze dei protagonisti. Wanyu rifiuta di convivere con la figlia per il tradimento del padre da parte di lei. Dandan si autopunisce, chiudendo la carriera artistica e andando a lavorare in fabbrica, occupandosi inoltre della madre che per il trauma ha perso parte delle sue capacità mentali e della memoria. Quando Yanshi torna a casa, riabilitato, deve fingere di essere un vicino e cura la propria famiglia restando con la propria vera identità per la figlia, che perdona, ma sotto false spoglie per la moglie che non lo riconosce.

Passano gli anni, si giunge alla vecchiaia in questa storia che, oltre al risvolto politico, è, si direbbe più di ogni altra dimensione, un’elegia della fedeltà coniugale, della solidarietà familiare, del pentimento, della vita complessa degli individui colti in un periodo storico difficoltoso. Tutto risulta umano, nel bene e nel male. I colori sono tenuti in una gamma limitata e non troppo accesi, a conferire ulteriori toni emotivi.

Esistono film di Zhang Yimou che non spingano a pensare, oltre che ad ammirare l’estetica, le riflessioni e le passioni che li animano?


[Roberto Bertoni]


27/12/14

Stephen F. Teiser, LA ROUE DES RENAISSANCES DANS LES TEMPLES BOUDDHIQUES



[Tibetan design (Paris 2014). Foto Rb]

































Stephen F. Teiser, LA ROUE DES RENAISSANCES DANS LES TEMPLES BOUDDHIQUES. In P. Skilling et al., Image et imagination: Le Bouddhisme en Asie, Parigi, Musée Guimet, 2009, pp. 86-109


Si tratta di una delle conferenze tenute sul rapporto tra immagine e Buddhismo al Museo Guimet di Parigi. Il contesto generale, osserva Skilling nell’Introduzione al volume che comprende anche altri saggi, è quello della “post-polemica” (p. 13) successiva all’Orientalismo e ad altre teorie critiche sull’Asia Orientale. Oggi parrebbe prevalere, nota lo studioso, una tendenza storicizzante e sociale, che inquadra il Buddhismo come prodotto della mente umana con modalità interdisciplinari.

Coerentemente con quanto sopra, Teiser esamina vari aspetti della Ruota delle Rinascite, suddivise dal Buddhismo in sei possibilità del Destino in cui l’essere può reincarnarsi dopo la morte: sotto forma di divinità celeste, semidio, essere umano (queste le tre reincarnazioni positive) e animale, fantasma affamato, creatura infernale (queste le tre reincarnazioni negative).

Rappresentata come mandala, la Ruota delle Rinascite esiste nell’arte figurativa buddhista fin dalle origini: la più antica in generale si trova ad Ajanta nella grotta 17 (V secolo); la più vetusta in Cina è situata a Yulin nella grotta 19 (X secolo). In Tibet, la Ruota delle Rinascite è collocata all’ingresso esterno dei templi.

La conclusione di Teiser sul significato culturale-religioso di questo simbolo è che costituisce un elemento centrale del Buddhismo, col peso preponderante assunto dai concetti di tempo e di spazio, la teoria del ciclo della vita risorta dalla morte, la legge del Karma e lo slancio che spinge verso la Liberazione (il raggiungimento del Nirvana alla fine del ciclo). Sul piano estetico, si tratta quindi di “arte didattica”, che favorisce la visione buddhista del mondo (p. 102). Occorre situare la Ruota delle Rinascite all’interno del suo contesto rituale per comprenderla (si veda, per esempio, il rito della circoambulazione attorno allo stupa).


[Roberto Bertoni]

25/12/14



[Marché de Noël (Paris 2014). Foto Rb]

23/12/14

Mauro Corona, UNA LACRIMA COLOR TURCHESE


Milano, Mondadori, 2014


Dedicato a Papa Francesco, questo racconto espone la scomparsa della statua di Gesù dal presepe natalizio prima in un paesino di montagna, poi, con una ripresa del procedimento iperbolico di certe fiabe, nella regione, nella nazione, in Europa e nel mondo.

Chi invoca Satana per spiegare il fenomeno, chi resta perplesso, fatto sta che i responsabili autentici sono, come suggerisce questa narrazione, gli esseri umani che hanno perso il contato con la semplicità, l’onestà, la solidarietà.

Le statuine finiscono tutte in fondo al mare, accanto alle vittime delle “carrette del mare” (p. 89), ovvero tra i diseredati, le “anime di ogni razza, morte per l’indifferenza e il cinismo degli uomini” in quel mondo ottuso e feroce” che “fa finta di niente, che non fa nulla per migliorare o dare una mano al suo simile in difficoltà” (p. 90).

Infine, un bambino, in tele-collegamento mondiale, legge una lettera di Dio, che spiega l’accaduto e i mali dell’umanità: “metà di voi è razzista, xenofoba, feroce. L’altra metà ipocrita, opportunista, vendicativa, invidiosa. [...] Non ha più senso nemmeno castigarvi, lo fate da soli, tagliando il ramo sul quale state seduti” (p. 87).

Una lacrima del lettore della lettera cade sulle Dolomiti, ne nasce un lago, anche se, con ricorso al fantastico inesplicato, “non è provato nulla. Forse è solo una leggenda” (p. 92).

Non che questa storia non sia un che semplicistica, dato che si potrebbero additare responsabilità complesse oltre che l’ideologia della cattiva e buona coscienza, e sebbene sia difficile non simpatizzare col suo pessimismo, si potrebbe forse anche indicare qualche rimedio umano prima che divino che potrebbe risolvere in parte la situazione disperatamente negativa del presente globale, nondimeno non si può dire che Corona non affermi, con questa favola, qualcosa di vero.


[Roberto Bertoni]

21/12/14

Anna Maria Ortese, IL MARE NON BAGNA NAPOLI


["That sea was so very far away from Naples, yet the sea is one in all places..." (Killiney 2014). Foto Rb]


Lontano dall’aderire ad un modello specifico, Anna Maria Ortese è un profilo di intellettuale anticonformista, per la quale la scrittura, non solo narrativa, ma anche giornalistica, rappresenta uno strumento di riflessione su se stessa e sul reale. Nel momento in cui si approccia alla realtà, l’autrice trasferisce il suo stato interiore sullo scenario che ha di fronte, percependo nell’animo una costante sofferenza e un irrefrenabile senso di sradicamento destinato a non trovare pace.

Gli articoli giornalistici non si limitano a ritrarre spaccati di vita quotidiana e non sono semplici resoconti di fatti di cronaca: lo sguardo vaga ed esplora ogni meandro del paesaggio, alla ricerca di colori, di luce e l’udito è sempre attento a distinguere i vari suoni nel grande silenzio del mondo.

Il mare non bagna Napoli, una raccolta edita nel 1953 presso Einaudi, rappresenta un valido strumento per conoscere la Ortese giornalista. L’opera è un autentico ritratto del capoluogo partenopeo dell’epoca, analizzato sotto diversi punti di vista. L’intento alla base del lavoro sarebbe stato quello di scolpire l’immagine della condizione meridionale dopo la guerra. Riemerge in tutta la sua forza, quindi, la volontà di avviare una riflessione sul luogo, depurata da ogni falsa credenza e capace di svelare le reali caratteristiche dell’atmosfera napoletana.

I vari testi della raccolta richiamano l’idea della mancanza di vita del territorio campano e dei suoi componenti ed esprimono la presa di coscienza, da parte dell’autrice, di un pesante degrado esistenziale, tramite una scrittura riflessiva impreziosita da una serie di simbologie e dalla combinazione di giornalismo e letteratura. Anna Maria riferisce ogni singolo incontro fatto ed ogni avvenimento accaduto nei suoi pellegrinaggi per la città, intrecciando elementi tipici della cronaca con minuziosi particolari riguardanti ambienti e personaggi. Nonostante l’originalità del testo, la critica non riconobbe questa nuova scrittura giornalistica così intrecciata ad una certa letterarietà, né comprese il significato profondo della parola ortesiana.


[Arianna Ceschin]