["Why was I thinking of a Japanese garden while looking at that plant behind the bamboo reeds?" (La Spezia, 2018). Foto Rb]
Banana Yoshimoto, Le sorelle Donguri. Prima edizione giapponese 2010. Traduzione
di G.M. Follaco. Milano, Feltrinelli, 2018
Le
sorelle Donguri, il cui appellativo deriva dalla fusione dei nomi reali di due
sorelle, Donko e Guriko, esistono solo online
su un sito che hanno creato per rispondere a quesiti, per lo più personali, di
persone varie e consigliarle nella risoluzione dei loro problemi.
La
modernità in rete si associa così all’atto pietoso, già della cultura di un
tempo della solidarietà; e facente parte dell’etica buddhista.
La
storia è narrata dalla sorella minore, che assiste alla vita emotiva della
maggiore, coinvolta in storie sentimentali, l’ultima delle quali, platonica,
con un ragazzo coreano, mentre lei stessa ceca di affrontare e risolvere il
lutto per la morte del proprio fidanzato.
Sembra
che i drammi non esistano in questo mondo di solidarietà tra le due giovani,
invece affondano nel passato di un’infanzia e adolescenza orfana, sfociata infine
rifiuto degli zii che le avevano adottate, trattandole con ogni riguardo, ma
rappresentando un mondo di classe sociale superiore rifiutato dalle due ragazze,
per cui esse si trasferiscono a casa del nonno e ne ereditano la casa dopo il
suo decesso.
Piccole
sensazioni che rivelano una tristezza autentica; la ricerca, ciò nonostante, di
una condizione di leggerezza” (p, 13); “l’idea che la realtà rifletta il nostro
mondo interiore” (ibidem).
Più in
esteso, questa filosofia:
“Se penso a
quanto sia effimera la nostra esistenza in mezzo a questa enormità di
informazioni, al torbido risentimento che alcuni ci riversano addosso senza
neanche conoscerci, o alla gratitudine incondizionata e calorosa di altri, in questo
mare sconfinato mi rendo conto che, in termini di passione, gli uni e gli altri
non sono poi così diversi. Tutti noi non badiamo alle cose di poco conto, continuiamo
a svolgere come possiamo le operazioni quotidiane […], tiriamo avanti,
accettiamo i cambiamenti oltre alla cosa più importante: che siamo destinati a
cambiare. […] Tessiamo l’ordito del nostro quotidiano lungo la soglia che
divide le funzioni di tutti gli organismi viventi e la coscienza che percorre l’universo”
(p. 15).
[Roberto
Bertoni]