Sottotitolo: A History since 1978. Chichester (West Sussex, UK), Wiley-Blackwell,
2014
Sono logicamente molte le osservazioni svolte
in questo volume competente e scritto con chiarezza. Qui ci preme soprattutto l’aspetto
ideologico, perché sfata uno dei cliché
ricorrenti sulla Cina del dopo-Mao, ovvero quello secondo il quale le riforme
economiche sarebbero avvenute senza riforme politiche. Al contrario, secondo
Zheng, da Deng Xiaoping in poi sono state ricostruite anche le istituzioni
politiche. Inoltre, fondandosi su documenti sia in lingua cinese che in lingua
inglese, Zheng è in grado di ripercorrere il dibattito ideologico e culturale,
che risulterebbe strano se non esistesse o venisse limitato a opposizione
liberale di tipo occidentale in un paese di così ampia tradizione prima della
rivoluzione e di marxismo innovativo dopo la rivoluzione, un paese in cui le
disparità così evidenti hanno appunto provocato anche pluralismo di
interpretazioni.
Zheng nota che “China’s
economic miracle has been mired by widening income disparities, environmental
degradation, corruption, ethnic conflict, and social decay. China has evolved
from an equal society under Mao to an extremely unequal one”. Se la Cina di
trent’anni fa “was one of the most egalitarian societies in the world”, oggi è “among
the most unequal countries in the world”.
In questa situazione, l’ideologia comunista
tradizionale è decaduta, ma al suo posto sono subentrate altre ideologie.
All’inizio del boom, l’idea di “imparare dall’Occidente” e una frenesia liberista
hanno portato alle disparità di cui sopra, pur promuovendo l’economia. Il
liberismo è una delle ideologie guida, in parte dello Stato medesimo, e in
parte, un che paradossalmente, di componenti della popolazione che, formata una
classe imprenditoriale media e medio-alta, ma in particolare tra gli strati
minoritari più prosperi e altolocati, si sono staccate almeno parzialmente dal
controllo più stretto dello Stato, arricchendosi.
La composizione di classe è un elemento
importante della formazione dell’ideologia; e Zheng considera in proposito che
in Cina, tra il 1949 e il 2006, il proletariato agricolo è sceso dall’88,1% al
50,4%. Oggi la classe media corrisponde al 39,1% della popolazione cinese,
mentre era il 7,9% nel 1949.
Al contempo, nell’ambito di una situazione in
cui “with the decline of official ideology, be it Marxism or Maoism, the state
is no longer able to impose any definite ideology onto society”, si è assistito,
accanto al neoliberismo nato negli anni Ottanta, al formarsi di altre
ideologie, soprattutto il Confucianesimo, il nazionalismo e una forma di nuova
sinistra (“neo leftism” e altrove anche “New Left” nel testo inglese).
La nuova sinistra si compone di posizioni composite,
che, in opposizione alla crescita del discorso dominante sulle strategie
puramente di mercato, variano tra “neo-Marxism, postmodernism, dependency world
system, and postcolonialism”, presentandosi come modalità crtiche del
capitalismo globalizzato e della commercializzazione.
Da tali posizioni è emersa a un certo punto una,
forse strana, coincidenza tra la nuova sinistra e le forze del nazionalismo, in
nome di una difesa della tradizione cinese in contrasto con la globalizzazione,
e rivendicando un ruolo forte dello Stato nella ricomposizione della
disuguaglianza: ruolo di correzione della privatizzazione dei servizi, comprese
l’istruzione e la sanità. Si dà inoltre una coincidenza tra la difesa della
società rurale e, a certi livelli, del pauperismo dell’epoca maoista.
Non necessariamente legata a questa
configurazione, ma per simili ragioni di perdita di fiducia nel comunismo dell’epoca
precedente come pure del liberismo materialista, si delinea il tradizionalismo,
incoraggiato anche dallo Stato, percorso da un revival culturale di studio delle
materie umanistiche e delle scienze sociali della Cina di prima della
rivoluzione, con prodotti non solo di natura accademica, ma anche romanzi,
serie televisive, film e così via.
Sebbene non fornisca, come in effetti non sembra possibile fare, una spiegazione della mancata democratizzazione della Cina attuale, Zheng osserva questo fenomeno e corregge la tendenza a interpretare dall’angolazione esclusiva dell’egemonia dello Stato, mettendo in rilievo che non solo lo Stato cinese tende a influire sulla società civile, ma a sua volta, per evitare strategie di pura coercizione, quindi per necessità di sviluppare consenso, deve accogliere alcune tendenze della società civile, dunque deve in parte almeno democratizzarsi, sebbene la democratizzazione avvenuta non sia come quelle ti tipo occidentale.
Sebbene non fornisca, come in effetti non sembra possibile fare, una spiegazione della mancata democratizzazione della Cina attuale, Zheng osserva questo fenomeno e corregge la tendenza a interpretare dall’angolazione esclusiva dell’egemonia dello Stato, mettendo in rilievo che non solo lo Stato cinese tende a influire sulla società civile, ma a sua volta, per evitare strategie di pura coercizione, quindi per necessità di sviluppare consenso, deve accogliere alcune tendenze della società civile, dunque deve in parte almeno democratizzarsi, sebbene la democratizzazione avvenuta non sia come quelle ti tipo occidentale.
[Roberto Bertoni]