Trad. di Vincenza
D’Urso, Roma, Nottetempo, 2013 (Ed. Kindle)
Quello che più ha
colpito l’estensore di queste note nel libro di Ko Un è il pervicace disfarsi
di luoghi comuni e idee ricevute, il fare a meno delle definizioni stantie, il
rinnovare la conoscenza del mondo. Così in “Ananda”: “Getta via tutto ciò
che sai. / Getta via tutto ciò che non sai. / Solo allora brillerà una stella”.
In
“Onde”, l’osservazione assorbe la complessità dell’insieme, rendendola con una lingua semplice, percorsa da
ironia:
“Guarda! Diecimila onde si
muovono
Perché se n’è mossa una?
No.
Le diecimila onde si muovono
tutte
nello stesso istante.
Si vede che la prima era già
fuori posto”.
Animati dalla
filosofia del Buddhismo coreano Sǒn, questi componimenti ridisegnano
l’approccio alle cose e alla vita. L’autore chiarisce nella prefazione che “Il
Sǒn non si prefigge di giungere alla verità di tutte le cose rifiutandole”,
nondimeno è difficile non pensare, quando si legge la poesia di Ko Un, che
l’assodato possa resistere. In “Semplicemente”, con un paradosso:
“La strada che ciascuno di
noi oggi percorre,
dice di percorrerla
perché qualcuno gli ha detto
di farlo.
L’acqua che scorre giù dai
monti
diciamo che scorre
perché qualcuno le dice di
farlo.
Va compatita, la saggezza
del mondo”.
Kevin
O’Rourke scrive:
“Ko
Un tells us that ‘Sǒn (Zen) comes alive by first denying speech and writing’.
[…] I think he means by this that Sǒn goes to the heart of experience, in the
process cutting through the hypocrisy and pretentiousness of much of our speech
and writing. […] Ko Un tells us that Sǒn literature is an intense act of the
mind liberated from the established systems of speech and writing” [1].
[Roberto
Bertoni]
[1] Recensione a Ko Un, Beyond Self:
108 Korean Zen Poems, transl. Kim Yoong-Moo and Brother Anthony, Berkeley,
Parallax, 1997. La recensione in Korean Literature Today, 3.1, 1998.