Massimo Gorki, La madre. Sottotitolo: Romanzo di vita russa. Prima edizione russa in rivista, 1907. Milano, Monanni, 1928
La madre è
un romanzo-manifesto del realismo socialista; allo stesso tempo rappresenta un
accostamento emotivo alla figura materna, rendendola metafora dell’abnegazione
per tutti coloro che soffrono se espropriati e sottoposti a ingiustizie.
Attraverso la rappresentazione di un villaggio operaio
del primo Novecento, emergono dalle pagine del volume le angherie del padronato
e della polizia che lo difende, l’alienazione dei lavoratori che riparano
talora nell’alcol e sfogano l’aggressività sui familiari, percotendo la moglie
e negando affetto ai figli.
Da questa esistenza rassegnata quanto abbruttita,
emerge la nuova generazione che gradualmente si orienta verso il socialismo
nelle sue varie connotazioni, quello anarchico-sindacalista violento che Gorki
chiaramente giudica in negativo, evidenziandone la pericolosità per il
movimento operaio; e quello da lui stesso condiviso con la pratica politica, il
marxismo bolscevico.
Qui i giovani, e la madre poco per volta con loro,
organizzano una cellula di propaganda che matura influenzando gli operai e
perseguitata con l’arresto e il carcere. Il figlio di questa storia decide di affrontare
il processo invece della fuga dalla prigione, pur se essa sarebbe possibile,
per trasformare la condanna in un caso esemplare. Sebbene negato da un
tribunale-farsa, resta il suo gesto sul piano etico, dimensione che Gorki
evidenzia assieme a un’epica della rettitudine.
Il romanzo ha fini di commozione e di didattismo, con
brani quali:
“Noi siamo socialisti, cioè avversari della proprietà
privata, la quale separa gli uomini, li arma gli uni contro gli altri, crea un’inconciliabile
diversità d’interessi. Noi diciamo: una società che considera l’uomo come un
semplice strumento per arricchirsi è contraria alle leggi dell’umanità; noi non
possiamo adattarci alla sua morale di menzogna. Noi lottiamo e lotteremo contro
tutte le forme dell’asservimento fisico e morale cui questa società sottopone l’uomo”
(p. 346).
I rivoluzionari del romanzo provengono da vari
background sociali: in prevalenza operai, ma anche piccolo borghesi (Sasha) e
borghesi (Ludomilla) che hanno rinnegato le origini di classe per dedicarsi
alla causa.
L’esempio personale sconfina nel sacrificio. Nicola
paga di persona con un supplizio fisico, maltrattato dalle autorità e poi
arrestato. Paolo, il figlio protagonista, “soffre per la causa comune”. L’operaio
in genere “soffre e soffre, ma un bel giorno la pazienza gli scappa” (p. 88).
Tra le versioni cinematografiche, memorabile quella muta del 1926 di Pudovkin per l’espressionismo estetico innestato su una base ideologica
real-socialista che la caratterizza.
[Roberto Bertoni]