09/09/14

Silvio Guarnieri, UTOPIA E REALTÀ



["Real? Unreal? All those stairs. The strange lamps..." (Dublin 2014). Foto Rb]


Torino, Einaudi, 1955

Nelle commemorazioni di Guarnieri, anche nel relativamente recente Silvio Guarnieri: un maestro, convegno tenuto nel centenario della nascita (2010), si tende a evidenziarne l’impianto impegnato e memorialistico, il “rigore moralistico” che già notava Vittorini nel risvolto di copertina del libro di cui qui ci occupiamo, la costruzione di sé secondo uno schema di miglioramento personale che riscontrava Calvino. Così, per lo meno, nella narrativa, che partendo da Utopia e realtà si estese in seguito ad altri volumi, tra i quali le Cronache feltrine [1].

La struttura autobiografica di Utopia e realtà è articolata per temi, quali La morte, L’amore e altri temi meno caratterizzati in astratto e meno generici.

L’io narrante procede per ricordi accumulati e associazioni tese a dirimere un nodo esistenziale in ogni racconto: il contrasto con un avversario o comunque una personalità diversa dalla propria (per esempio nel racconto che dà il titolo alla raccolta); un conflitto basato sulla differenza di classe e di mentalità, oltre che di carattere (in Compagni di caccia); una personalità compatibile, come il collega che compare in L’amore; un’equanimità nel giudizio umano di un nemico politico, nondimeno la condanna delle sue vedute ideologiche e delle azioni efferate (Il processo della contessa).

Si tratta di momenti di passaggio e di maturazione, si veda il ritorno al paese natio (Feltre) dopo il soggiorno romeno e, in coincidenza, l’assunzione del marxismo:

“Tornato al mio paese dopo tanti anni di assenza, mi si è offerta la possibilità di superare questa mia superficialità giovanile, va cadendo quella reticenza che prima mi tratteneva da un’estrema confidenza con gli uomini. Ora, nella mia città, la mia dichiarata convinzione politica mi ha fatto divenire compagni e amici, operai, artigiani, contadini; con essi il dialetto, la famigliarità e una istintiva, immediata possibilità di comprensione, non si limitano in se stessi, non mi vietano una più profonda intesa, e d’altra parte la rendono più facile, umana, appunto perché fondata anche su una comune origine, viva di memorie e di affetti quotidiani, di affetti e di una affine sensibilità” (p. 101).

Un passaggio, altrove, a una presa di responsabilità, di sincerità con sé, di convivenza col prossimo.


[Roberto Bertoni]


[1] Vicenza, Neri Pozza, 1969.