Torino, Einaudi, 1955
Nelle commemorazioni di Guarnieri, anche nel
relativamente recente Silvio Guarnieri: un maestro, convegno tenuto nel centenario della nascita (2010), si tende a
evidenziarne l’impianto impegnato e memorialistico, il “rigore moralistico” che
già notava Vittorini nel risvolto di copertina del libro di cui qui ci
occupiamo, la costruzione di sé secondo uno schema di miglioramento personale
che riscontrava Calvino. Così, per lo meno, nella narrativa, che partendo da Utopia e realtà si estese in seguito ad
altri volumi, tra i quali le Cronache
feltrine [1].
La struttura autobiografica di Utopia e realtà è articolata per temi,
quali La morte, L’amore e altri temi meno caratterizzati in astratto e meno
generici.
L’io narrante procede per ricordi accumulati e
associazioni tese a dirimere un nodo esistenziale in ogni racconto: il contrasto
con un avversario o comunque una personalità diversa dalla propria (per esempio
nel racconto che dà il titolo alla raccolta); un conflitto basato sulla
differenza di classe e di mentalità, oltre che di carattere (in Compagni di caccia); una personalità
compatibile, come il collega che compare in L’amore;
un’equanimità nel giudizio umano di un nemico politico, nondimeno la condanna
delle sue vedute ideologiche e delle azioni efferate (Il processo
della contessa).
Si tratta di momenti di passaggio e di
maturazione, si veda il ritorno al paese natio (Feltre) dopo il soggiorno
romeno e, in coincidenza, l’assunzione del marxismo:
“Tornato al mio paese
dopo tanti anni di assenza, mi si è offerta la possibilità di superare questa
mia superficialità giovanile, va cadendo quella reticenza che prima mi
tratteneva da un’estrema confidenza con gli uomini. Ora, nella mia città, la
mia dichiarata convinzione politica mi ha fatto divenire compagni e amici,
operai, artigiani, contadini; con essi il dialetto, la famigliarità e una
istintiva, immediata possibilità di comprensione, non si limitano in se stessi,
non mi vietano una più profonda intesa, e d’altra parte la rendono più facile,
umana, appunto perché fondata anche su una comune origine, viva di memorie e di
affetti quotidiani, di affetti e di una affine sensibilità” (p. 101).
Un passaggio, altrove, a una presa di
responsabilità, di sincerità con sé, di convivenza col prossimo.
[Roberto Bertoni]