["She was often looking at the time, or perhaps constantly connecting through space by text" (Milano 2014). Foto Rb]
Sottotitolo:
Orientamento verso il passato e verso il futuro. In Agnes Heller, L’uomo del
Rinascimento (1967), Firenze, La Nuova Italia, 1977, pp. 247-89
A dispetto del loro fascino, non sappiamo quanto
le grandi generalizzazioni possano avere una validità completa: un minimalismo
moderno, prima ancora che tardomoderno, ci porta a dubitare che possa essere
vero, in assoluto, quanto scrive Heller:
“Anche la
trasformazione, ossia la particolare interpretazione dei concetti di tempo e di
spazio, mostra la scarsa differenziazione del pensiero quotidiano e di quello
scientifico nell’epoca rinascimentale. Nessuna di queste categorie riceve un’interpretazione
tale da oltrepassare i limiti dell’immaginabile.
Dell’idea di spazio, ad ogni modo, possiamo dire che è già deantropologizzata, mentre il concetto di tempo, fino alla fine, è
sempre riferito all’uomo” (p. 247).
Mah. Viene da domandarsi: non è tutto, proprio
tutto, antropologizzato nell’interpretazione umana? E come si possono superare
i limiti dell’immaginabile: non è anche l’inimmaginabile un aspetto degli
estremi dell’immaginabile? Due elementi tipici della fantascienza, che è
dopotutto erede dell’utopia cui qui si riferisce Heller.
Secondo Heller, “la filosofia naturale del
Rinascimento non conosce il concetto di tempo” inteso come “categoria”, ovvero “concetto
astratto” (p. 250). Tuttavia, continua Heller, “il tempo è uno dei problemi
principali della filosofia sociale” (p. 251) ed enuclea il tempo come termine,
il tempo come continuità e il tempo come ritmo, dimensioni interconnesse della
vita individuale e dell’operato sociale.
Prevale l’istante, cfr. il Borgia di Machiavelli e
il suo operato attivistico da homo novus
(p. 262).
Il tempo come continuità si troverebbe, secondo
Heller, “solo ed esclusivamente in
relazione all’evoluzione della scienza e della tecnica” (p. 267).
Il ritmo è accelerato rispetto al Medioevo; ed
Heller fornisce esempi shakespeariani da Riccardo
II e Enrico IV. Il ritmo regolare
sta “al di fuori della società”, nella natura (p. 275).
Sostiene Heller che manca al Rinascimento la
dimensione del futuro come prospettiva. Anche nelle utopie. “L’utopismo antico si
orienta decisamene verso il passato […]. Dal XVIII secolo in poi, l’utopismo è
realmente proiettato verso il futuro […]. L’utopismo rinascimentale vive invece
nel presente”: così Bacone come Moro.
Solo l’azione sociale pratica, non la speculazione
teorico-filosofica dell’utopia, sarebbe orientata sul futuro:
“Gli uomini del
Rinascimento non avevano […] lo scopo di realizzare una società ‘nuova’ e ‘migliore’:
non fu una prospettiva di questo genere a determinare le loro azioni, come
successe invece per gli illuministi. Quindi essi non potevano disporre di un’ideologia
orientata verso il futuro, ma potevano disporre di una prassi orientata verso
il futuro” (p. 288).
Quest’ultima riflessione pare piuttosto
contraddittoria (una prassi non corrispondente all’ideologia?); e pare più
consona a far quadrare i conti ideologici dell’impostazione di Heller che
fondata sull’osservazione della realtà effettuale degli scritti rinascimentali.
Forse, però, pecchiamo per eccesso di buon senso.
[Roberto Bertoni]