Sottotitolo: Storia dello Stato. Bologna, Il Mulino, 2014. (Citazioni
dall’edizione Kindle)
Cassese conferma la diagnosi
negativa della situazione italiana in relazione alla macchina statale: “i governati
[...] lamentano costi e inefficienze dei poteri pubblici [...]. L’alta
dirigenza, identificata come una casta”.
Esiste una spiegazione nella
storia del rapporto tra statualità e cittadinanza: “un elemento costante della
storia statale italiana è stata la distanza tra Stato e opinione pubblica.
Quest’ultima non si è mai impadronita delle problematiche del servizio
pubblico, oscillando tra rifiuto, ribellismo ed episodicità. I gestori della
macchina statale, a loro volta, si sono raramente sforzati di rendere
comprensibili regole, alternative, difficoltà all’opinione pubblica”.
Si ha dunque un’“incomunicabilità
tra sfera pubblica e collettività”, distacco tra paese reale e paese legale,
ovvero tra società e Stato: fenomeno notato già da personaggi come Ricasoli e
Giolitti, che si è soltanto attenuata in certi periodi, per esempio nell’immediato
dopoguerra postresistenziale. Secondo Mazzini, l’Italia unita era “il fantasma
dell’Italia”, mancando “l’anima della nazione”.
Interessanti le notazioni
relative anche ai giudizi di stranieri illustri. Per esempio nel 1866 Mark
Twain osservava l’alto numero di mendicanti e, notando al contempo l’atteggiamento
vitale della popolazione, definiva l’Italia “il Paese più disgraziato e
principesco della Terra”. Dal canto suo, nel 1807, de Staël rilevava che l’Italia
è un paese privo di società.
Tra i fattori portatori di crisi
sono da annoverarsi le “discrezionalità del potere pubblico” e l’“instabilità
degli esecutivi” con 127 governi dal 1861 al 2014.
[Roberto Bertoni]