25/09/14

Sabino Cassese, GOVERNARE GLI ITALIANI


Sottotitolo: Storia dello Stato. Bologna, Il Mulino, 2014. (Citazioni dall’edizione Kindle)


Cassese conferma la diagnosi negativa della situazione italiana in relazione alla macchina statale: “i governati [...] lamentano costi e inefficienze dei poteri pubblici [...]. L’alta dirigenza, identificata come una casta”.

Esiste una spiegazione nella storia del rapporto tra statualità e cittadinanza: “un elemento costante della storia statale italiana è stata la distanza tra Stato e opinione pubblica. Quest’ultima non si è mai impadronita delle problematiche del servizio pubblico, oscillando tra rifiuto, ribellismo ed episodicità. I gestori della macchina statale, a loro volta, si sono raramente sforzati di rendere comprensibili regole, alternative, difficoltà all’opinione pubblica”.

Si ha dunque un’“incomunicabilità tra sfera pubblica e collettività”, distacco tra paese reale e paese legale, ovvero tra società e Stato: fenomeno notato già da personaggi come Ricasoli e Giolitti, che si è soltanto attenuata in certi periodi, per esempio nell’immediato dopoguerra postresistenziale. Secondo Mazzini, l’Italia unita era “il fantasma dell’Italia”, mancando “l’anima della nazione”.

Interessanti le notazioni relative anche ai giudizi di stranieri illustri. Per esempio nel 1866 Mark Twain osservava l’alto numero di mendicanti e, notando al contempo l’atteggiamento vitale della popolazione, definiva l’Italia “il Paese più disgraziato e principesco della Terra”. Dal canto suo, nel 1807, de Staël rilevava che l’Italia è un paese privo di società.

Tra i fattori portatori di crisi sono da annoverarsi le “discrezionalità del potere pubblico” e l’“instabilità degli esecutivi” con 127 governi dal 1861 al 2014.


[Roberto Bertoni]