["But they did have tea in that place, earlier on and on the same day" (Avoca, 2014). Foto Rb].
Milano, Frassinelli (Adelphi), 1966
Un articolo non firmato di Poetry Foundation riassume con efficacia alcuni aspetti salienti
dell’opera di Catherine Mansfield (o, per rispetto all’identità fuori di
pseudonimo, Kathleen Mansfield Beauchamp):
“Her language was clear and precise; her
emotion and reaction to experience carefully distilled and resonant. Her use of
image and symbol were sharp, suggestive, and new without seeming forced or
written to some preconceived formula. Her themes were various: the difficulties
and ambivalences of families and sexuality, the fragility and vulnerability of
relationships, the complexities and insensitivities of the rising middle
classes, the social consequences of war, and overwhelmingly the attempt to
extract whatever beauty and vitality one can from mundane and increasingly
difficult experience”.
La traduzione italiana e la cura del volume del
1966 sono di V. C., non altrimenti definito. I racconti scelti riflettono in
effetti il giudizio anonimo di cui sopra, irradiandosi lungo l’arco della vita
dell’autrice.
Cosa caratterizza, a distanza di quasi un secolo
dalla scomparsa (nel 1923) queste storie, oltre le già citate caratteristiche?
Ci pare soprattutto un’insolita coesistenza di premoderno e di moderno.
Premoderne, per esempio, le aspirazioni romantiche
dell’inserviente di una boutique di cappelli
per signora, che sogna a occhi aperti di concorrere alla benevolenza di un
ricco, ma si risveglia in un appartamento misero e freddo, come in un
melodramma dell’Ottocento.
Moderno, però, il nomadismo della maggior parte di
questi personaggi, non di rado peregrinanti tra Inghilterra e Francia; e
sradicati, soli, svuotati dentro.
Se da un lato, come si è notato spesso a proposito
di Mansfield, il sostrato autobiografico svolge un ruolo principe, i suoi
racconti mantengono un’autonomia che invece li distacca dall’elemento di
partenza del vissuto: i personaggi si rendono indipendenti dall’autrice, vivono
di vita propria, vengono presentati tramite le loro azioni e parole anche
inconsistenti e leggere.
L’atroce dell’abbandono mascherato da cura per la
persona amata; le bugie innocenti della sposina per ricavare qualche abitino
speciale per la figliola; l’andirivieni degli umori variabili della coppia; il
contrasto tra chi ha e chi non ha in termini di denaro e status sociale.
In parte crepuscolarmente chechoviane per
esplicita ammissione dell’autrice, queste storie ci riportano a una ricerca
dell’anima dentro di sé, a un’introspezione ottenuta tramite l’osservazione
della superficie, dell’esterno, della vita che scorre.
[Roberto Bertoni]