Roma,
E/O, 2013.
Terzo volume del ciclo L’amica geniale, la storia di Elena e Lila si dipana in questo
volume (di autore anonimo che si firma Ferrante) retrospettivamente, dai nostri anni (giorno in cui le due donne si rincontrano e
scoprono il corpo senza vita della terza amica) verso gli anni Sessanta e
Settanta, in una rappresentazione non stereotipata della contestazione e delle
motivazioni della politica della gioventù di allora.
Si assiepano scelte sentimentali, soprattutto la
relazione tra Elena e Bruno, poi interrotta per un equivoco sulle speranze
relative al futuro, forse; i matrimoni sbagliati; la decisione di Elena di
restare sola e dedicarsi alla scrittura. Anni dopo, la riflessione: “quante persone che erano state bambine
insieme a noi e non erano più vive, sparite dalla faccia della terra per
malattia”.
La città di Napoli resta protagonista anche per chi da giovane se n’era andato, e si rivela priva di futuro: “i bagliori dei grattacieli di vetro, segni una volta di un futuro cui non aveva creduto mai nessuno […]. Da ragazzina mi ero immaginata che, oltre il rione, Napoli offrisse meraviglia”, ma poi “mi convinsi che non c’era grande differenza tra il rione e Napoli, il malessere scivolava dall’uno all’altra senza soluzione di continuità. A ogni ritorno trovavo una città sempre più di pastafrolla”, in cui “la gente moriva d’incuria, di corruzione, di sopraffazione, e tuttavia, a ogni tornata elettorale, dava il suo consenso entusiastico ai politici che le rendevano la vita insopportabile”.
En abyme, la narratrice che dice io espone la poetica del volume: accanto a “motivazioni
sociologiche”, troviamo una specie di comédie
humaine, o, come il concetto viene espresso nel romanzo, “necessità di raccontare in modo franco ogni esperienza umana”.
[Roberto Bertoni]