[Heunde Beach in Busan (2013). Foto Rb]
Corea,
2011. Con Chun Jung-myun, Esom, Kim Min-Joon, Lee Jong-hyuk, Shin Se-kyung,
Song Kang-ho, Yoon Yeo-jeong
Abbiamo
dubitato se recensire o meno questo film. Rientra, cioè, o no, tra le categorie
più commerciali e globalizzate della cinematografia attuale? Alla fine, la
risposta propende per il “solo in parte”. Anzi, in gran parte, proprio per i motivi per cui in alcune recensioni è giudicato difettoso, a noi pare invece
di qualità.
Una
delle ragioni delle perplessità di altri su questo film è la sua lentezza
accompagnata da un intreccio frammentario [1]. Ben vengano entrambe, a nostro
parere. La lentezza è riflessività e consente di soffermarsi su sequenze
significative come pure sul paesaggio, notevole la zona di Busan con baie e
luminosità in contrasto con il buio metafisico della storia narrata, e la
penultima sequenza negli stagni delle saline (forse quelle di Muan nel sud-ovest del paese?). La
frammentarietà, che non è poi così pronunciata, è in realtà una procedura che
incoraggia l’intuizione, ha dunque un significato moderatamente sperimentale.
Shin
Se-kyung ci ha convinto più che nella performance
nella serie televisiva When a man falls
in love (2013), qui nella parte di Jo Se-bin, una ragazza di vent’anni
messa alle costole del quarantenne ex gangster Yoon Doo-hun (ottimamente interpretato da
Song Kang-ho, che conferisce profondità e normalità al personaggio) dagli
appartenenti alla banda di lui, che si è ritirato dal mondo del crimine e vuole
aprire un ristorante. I due si trovano a frequentare un corso di cucina e da
qui nasce un’amicizia, anche forse attrazione, ma intelligentemente tenuta a
livello platonico dal regista, che lascia intuire, fa compiere azioni generose
e protettive a ciascuno dei due protagonisti, ma li mantiene in termini di cameratismo, notando con leggerezza in vari dialoghi la differenza d’età, e
conferendo una moralità all’ex malvivente.
La
storia è piuttosto complessa nel suo dipanarsi tra un prestito contratto da un’amica della
protagonista, da cui il lavoro di Se-bin di controllare Doo-hun per aiutarla a ripagare i creditori, il tentativo di
omicidio della gang nei confronti del
protagonista, il salvarsi vicendevolmente la vita tra la ragazza e l’uomo di
mezza età, infine, inaspettatamente, trattandosi di un noir coreano, il lieto fino: riescono a salvarsi con un trucco e un
rischio di vita e di morte e si rifugiano nel Sud-Est asiatico dove aprono un
ristorante. Lui frattanto risulta deceduto, quindi potrebbero essere
effettivamente in salvo per sempre, si apre insomma una speranza.
Questo
film ha delle sottigliezze. Per quanto in grado di debellare vari avversari,
nel corso dell’intera pellicola il protagonista non uccide nessuno, mettendosi
anzi in ulteriore pericolo col salvare la vita al proprio killer, che riavutosi continua a minacciarlo con tentativi di omicidio. Certi
elementi che sembrerebbero secondari assumono poco per volta il valore di
emblemi, conducendo sul discrimine tra la vita e la morte: per esempio il sale
all’inizio è una specie di gioco visto che a Se-bin piacciono i piatti salati, ma
poi si scopre che la ragazza (tiratrice d’eccezione dato che ha praticato il
tiro col fucile come sport competitivo, vincendo delle gare) confeziona
proiettili col sale e sarà proprio questa abilità a salvare la vita di Doo-hun
quando, dopo aver concordato col killer
di poterlo uccidere lei, proponendolo come un atto di pietà (io che sono sua
amica), lo colpisce con quei proiettili di sale che, così spiega in seguito,
potevano sopprimerlo al 50%, ma salvarlo per l’altro 50% come avviene in effetti.
Si
segnalano tutti gli attori, noti e impostati come a teatro nella recitazione
senza pecche.
NOTE
[1] Cfr. "Hindsight (푸른 소금, Poo-reun-so-geum) 2011", articolo non firmato, MKC, 30-1-2012; e J. Mudge, "Hindsight (2011): Movie review", Beyond Holliwood. com, 10-2-2012.
[Roberto Bertoni]