87.
sul tardi si tracima il viottolo
inondato di buio. io nel tuorlo
della poesia sto a chiamarti urlo
di ritorno, invece niente il nome
si fa eco insieme alla fretta della
paura. sfiata il vento un inno
elementare verso la cruna dell’ago
della nonna che non può più cucire stoffa
nera per via della vista. sta rannicchiato
il polline di domani quando alla luce
tornerà la manna di vestire i piccoli.
stasera è un assalto di viottolo e qui congiuro
un giramondo che non sono tanto per
salvarmi. moria di cenere indosso la giacca
che finalmente mi fa trovare la bussola
per il sonnellino prossimo venturo atleta
estetico del sogno. un’avventura bonsai è
stata materna nata natura di crepuscolo
statura nana della luce al buio.
88.
si strizza la parola occhi al sole
raucedine salina la vecchiaia
senza cielo né margine di azzurro.
uscire dal menu non è certo facile
né dal cortile darsena di seppia
il nero senso del senile abbraccio.
qui dalla missione del rospo giornaliero
s’intasa la stazione di scappare
contro le pargole egemonie del lutto.
la ventola dà la regìa al fegato
così di resistere lo sterminio d’io
la faccenda malinconica del tetto.
in aria è sospeso un sogno frainteso
giubba d’oro per angeli evasi
gelidi alpi senza le stelle.
soccorso senza enfasi vederti
dacché la fata non ci guarda più
da ancore pietose le rime di fratelli.
il fulcro di credere è in scempio di randagio
adagio e senza voglia di campare.
89.
me scuro cipresso di medaglia
attanaglia l’attesa della soglia
quando il bosco attese esecuzioni
ai rami sacri degli alberi.
il perno del silenzio meraviglia per chi muore
esausto bagliore estivo
stordita brina di gennaio.
invece di camminare dal lato opposto
la nullità del volto
chiami la guardia civile del sole adulto
quando nessuno scampi verso l’ombra.
a turno verrà l’era del fosso
la lacrimevole passione di togliere
l’avena ai cavalli esausti.
fu così che un giorno mi venne di scovare
un drago dagli occhi a spillo di mia nonna
senza imparare la paura o la superbia dell’eroe.
in fondo la chimera della bellezza
passa dal mero inchiostro alla statuetta
del fermacarte.
90.
cura di sudario averti in cuore
amanuense germoglio con il polline
nella moria del furto di guardarti
ancora prima elemosina del giglio.
invano una scartoffia cerca l’alunno
il breve incontro con le mani vuote
il sorteggio di un eremo di sfinge
quando qualora si morirà per tutti.
la cerchia del glossario è molto chiara
nonostante il pane della sfinge
e l’ecumene dotta della statua.
qua riposano le gare di trovarti
visto che è meglio perdere il senno
che rovistare un eremo infelice.
91.
quale abaco crudele
contò il tempo
senza parenti intimi.
in un attimo il sepolcro
confiscò il moto del sole
le sorelle leggendarie del confine.
spiritualità del sale reggere l’occaso
la zanna nera che sfregia
l’idioma amoroso del solco.
invano le combriccole bambine
giocano a dadi con l’ilarità
del nascere. qui non basta la scia
del silente conclave delle bambole.
si chiamerà abituro lo strazio
della cometa spenta
l’enclave zoppa della madre.
[Le strofe precedenti sono sui numeri scorsi di “Carte allineate”]