[In the foreground, some remnants of how it was (Seoul, 2013). Foto Rb]
Carlo Rossetti, Corea e Coreani. Bergamo, Istituto d’Arti
Grafiche Editore, 1905. Sottotitolo: Impressioni e ricerche sull’Impero del Gran
Han. Ristampa: Breinigsville (Pennsylvania, USA), Nabu Press (Nabu Public
Domain Reprints), 2011. Traduzione francese di No Mi-Sug e Alain Génetiot, La
Corée et les Coréens, Parigi, Maisonneuve & Larose, 2002
Siamo riusciti a leggere la seconda parte di quest’opera in italiano,
reperendola tramite la libreria online di Zanichelli, ma il primo volume
risulta esaurito, cosicché siamo ricorsi alla traduzione francese, di cui per
la prima volta avevamo preso visione in una libreria dell’usato a Bruxelles nel 2007 e che infine abbiamo
acquistato un paio d’anni fa.
Questo per dire, al di là delle Biblioteche (per esempio la Nazionale
di Firenze), quanto sia tuttora piuttosto raro un testo che invece sarebbe
destinabile a un largo pubblico per la sua piacevolezza stilistica consistente
in un italiano d’inizio secolo vivace e ben concepito, oltre che per l’ingente
apparato fotografico, che costituisce una documentazione fondamentale sulla
Corea del 1902/1903, cioè il periodo di otto mesi che Rossetti, facendo le veci di Console in
attesa del titolare, trascorse a Seoul, riferendo in questo libro su fatti
storici e sociali.
L’importanza delle fotografie è stata sottolineata tramite le mostre a
Roma nel 2003 (La Corea e i coreani all’inizio del Novecento) e a
Seoul nel 2012 (La Corea di inizio ’900 vista dal Console Rossetti). Col titolo di Rossetti: Photos, un ristretto campionario
è disponibile online.
Più ancora delle immagini dei luoghi, che ci hanno interessato per il
confronto con la Seoul moderna, e la verifica, diciamo così, della città
vecchia prima della ristrutturazione giapponese, ci colpiscono le riprese di
persone: contadini, funzionari, artigiani, bambini, gisaeng.
Quanto al commento insito nel testo scritto, anch’esso rappresenta una
testimonianza di rilievo (se ne ha giustificato la traduzione anche in coreano)
e si orienta in parte su esperienze personali di rapporti con rappresentanti
della burocrazia e delle alte sfere dello Stato, compresa la Corte, con altri
stranieri che operavano in Corea in quegli anni, e di visite a luoghi,
botteghe, scuole e così via, dato che per sua dichiarazione Rossetti si
rivelava un viaggiatore intento a rendersi conto di prima mano; e in parte, come si accennava, su considerazioni sociologiche.
In questo secondo campo, su alcuni aspetti c’è una comprensione piuttosto chiara, soprattutto in
aree della cultura, per esempio la descrizione dell’alfabeto, la ricezione di
alcune narrazioni tradizionali, la divisione di classe.
I due volumi riflettono anche su un periodo specifico di crisi dello
Stato e delle istituzioni alla fine dell’era Joseon, che sarebbe terminata ufficialmente
nel 1910 con l’annessione da parte del Giappone, ma questo Stato controllava
il territorio coreano fin dal 1905 (anno del Protettorato) e già nei mesi del soggiorno di
Rossetti espandeva la propria presenza.
Non ci pare corrispondente a verità il giudizio piuttosto lapidario del
prefatore francese, Alain Delissen, che mette in rilievo vari aspetti che a suo
parere rendono poco attendibile scientificamente quest’opera: la brevità del
soggiorno, un “patchwork hétérogène” e un “Orientalisme génerique” (p. 12). In
realtà, contando proprio il tempo limitato del soggiorno, e il contesto culturale italiano del primo Novecento, è al
contrario un testo originale e utile e che, pur se resta nel pregiudizio occidentale di possedere
una civiltà ovunque esportabile, dimostra curiosità intellettuale e interesse
per una realtà diversa dalla propria.
[Roberto
Bertoni]