2004. Trad. A.G. Gerevini, Milano, Feltrinelli, 2010
Siamo
sempre colpiti da una strana discordanza di alcune storie di Banana Yoshimoto:
ci pare di notare una certa supponenza, o forse nemmeno questo, forse
artificialità nei dialoghi sulla vita tra personaggi o nelle riflessioni che
compiono, eppure si tratta in tali casi non di rado di adolescenti o ventenni e
la scoperta dei valori può realisticamente verificarsi a quell’età con modalità
un che contraffatte, con scoperte di grandi principi e decisioni estreme.
Nondimeno, sul piano dei contenuti di tali riflessioni non c’è niente da
eccepire: è piuttosto il modo in cui vengono declinate che quanto esse
affermano.
Anzi,
sono proprio le idee espresse che costituiscono uno dei meriti di Yoshimoto. La
vita immaginata, su sfondo zen, come una sequenza di attimi sottolineati da
correlativi oggettivi di natura. Le decisioni per il futuro prese sulla base di
esperienze che riempiano la vita. La solidarietà, il mondo delle piccole cose,
l’aspirazione alla serenità più che al potere e alla ricchezza. L’impegno per
portare avanti il futuro anche a raggio circoscritto, anche se ci saranno bivi
che imporranno mutamenti nell’impermanenza.
Tutto
ciò è tanto più sensato, alternativo e interessante perché nel frattempo non
vengono negate le manifestazioni della società di massa, postmoderna, della
disintegrazione della famiglia tradizionale.
Coì
anche nel Coperchio del mare, il cui
intreccio è quello di un’amicizia che si salda tra due ragazze, la narratrice
Mari, che ha deciso, almeno per il momento, dopo la laurea, di fermarsi al
paese, reagendo alla fuga dei giovani verso Tokyo col portare avanti un
progetto costruttivo di apertura di un chiosco di granite in pineta, vicino
alla spiaggia; e l’amica Hajime, che trascorre presso la famiglia di Mari un
periodo per elaborare il lutto della morte della nonna, scoprendo anche lei
frattanto la propria vocazione di designer di bamboline tradizionali redivive e
aiutando Mari nel lavoro.
Hajime
ha cicatrici provenienti da una grave ustione infantile. Il racconto, dunque, è
anche sull’emarginazione e sulla dolcezza e la cura che consentono di superare
l’isolamento.
È sulla
solidarietà femminile e sulla complicità tra giovani che si trattano da
sorelle.
Infine
sugli amori, a distanza ma permanente quello di Hajime per un ragazzo coinvolto
in operazioni di volontariato internazionale; e più spensierato e volubile, ma
non per questo meno intenso e serio, l’atteggiamento di Mari che ha avuto
diversi boy-friends.
La
morte alle spalle, il mare onnipresente, le piccole cose, l’estate che finisce
con l’arrivo delle meduse, l’oblò di un traghetto da cui si intuisce la
personalità di una persona. In questo campo la delicatezza e la reazione alla
commercializzazione dell’esistenza si impongono.
[Roberto
Bertoni]