Nel
proclamare l’apertura della campagna d’Etiopia, Benito Mussolini non mancò di
appellarsi alla sua enfasi da istrione e definì il popolo italiano un “popolo
di poeti, di artisti, di eroi / di santi, di pensatori, di scienziati / di
navigatori, di trasmigratori” [1].
Non già la suggestiva
definizione ricorse nell’imminenza dell’evento bellico, annunciato come la
cadenzata e suggestiva avanzata di un esercito di legionari. Ben valse la pena
tramutare la citazione in una solenne iscrizione. Fu così che la stessa fu
impressa a caratteri cubitali alla vetta di una delle costruzioni
architettoniche più ambiziose del regime: nientedimeno quella prescelta per
rappresentare, su un piano urbanistico, la potenza del regime e del suo impero
e pertanto chiamata ad innalzarsi a fulcro dell’Esposizione universale del
1942: Palazzo della Civiltà a Roma [2].
Ben
lungi dal collocarsi alla seconda metà degli anni Trenta, il duplice tentativo
di realizzare una rivoluzione antropologica del popolo italiano e la connessa
formazione di un nuovo “stereotipo” di cittadino italico, sgorgò a ridosso dei
primi decisivi passi del futuro duce sulla scena politica coeva. Ci basta
scorrere i trentacinque tomi dell’Opera
omnia per renderci conto di quanto la duplice tematica attraversi come un
fiume in piena l’intera esperienza politica di Mussolini, per arenarsi solo di
fronte agli esiti disastrosi della seconda guerra mondiale.
Il
richiamo costante - quasi insistente - su questi argomenti, va connesso al
versante “bifronte”, interno ed estero, della propaganda. Su un piano interno,
infatti, Mussolini li utilizzò come cavalli di battaglia sguinzagliati contro i
precedenti governi liberali. Infatti, è
grazie al rinnovamento antropologico compiuto dal fascismo che il popolo
italiano “finalmente è uscito dal suo
grado di minorità civile in cui fu lungamente tenuto da Governi inetti e
imbelli” [3].
È “il fascismo che ha compiuto il miracolo […] – che ha rifoggiato il carattere
degli italiani”: “ha formato l’italiano nuovo, l’italiano fiero di sentirsi
italiano di fronte a tutti i popoli più o meno civili del mondo” [4].
I “nuovi” italiani di Mussolini
sono un “grande popolo […] duro, tenace, volitivo,
sistematico” e sono per “temperamento” condotti “a valutare l’aspetto concreto
dei problemi, non già le loro sublimazioni ideologiche o mistiche” [5]. Sono, inoltre, una nazione
compatta, unita: ponendo fine agli sterili precedenti tentativi, in nome del “miracolo al
quale il duce si appellò a Pisa, il punto d’arrivo della “rivoluzion” da lui
compiuta è che “dentro i confini” non vi sono “più veneti, romagnoli,
toscani, siciliani e sardi: ma solo italiani, solo italiani” [6]. Neanche disperdendosi in
mille direzioni, sono “più socialisti, liberali, nazionalisti oppure genovesi,
napoletani, milanesi, ma sono italiani e orgogliosi di lor stessi e della
patria” che li pone, finalmente, al di sotto di un comune denominatore [7].
Sul congiunto versante
della propaganda interna ed estera, l’insistenza sul “rilancio” di una nuova
immagine degli italiani va spiegata con la necessità di rimuovere “i residuali
scetticismi”, provenienti dall’Italia e d’oltralpe, “che preferirebbero
l’Italia facilona, disordinata, divertente, mandolinista del tempo antico e non
quella inquadrata, solida, silenziosa e potente dell’era fascista” [8].
In effetti, se
apriamo uno squarcio di veduta sugli italiani di Mussolini dall’Inghilterra, ci
accorgiamo che il dittatore era stato troppo a lungo un giornalista per
sbagliarsi. Giornalista rimaneva tanto anche “dentro”. Visto da occhi inglesi, il cittadino nostrano apparve come l’espressione
di un “popolo tipicamente latino, emotivo e fantasioso, irrazionale” [9]. La
Marcia su Roma, poi, fu salutata con un atteggiamento che rasenta il sarcasmo;
percepita e dipinta come “esplosione di carattere romantico, sentimentale,
risorgimentale di un popolo emotivo sul quale”, a discapito dalla fermezza e
della sobrietà volute dal dittatore, hanno peso determinante impulsi come una
incontrollata, quasi teatrale passione [10].
Più della portata politica dell’evento, a colpire furono soprattutto le
disciplinate parate o, tanto per citare qualche altro dettaglio che carpì
l’attenzione, le immagini di donne in lacrime commosse ed emozionate. Strano
popolo, per gli inglesi, quello di Mussolini: gente che esprime “il proprio
credo politico con il colore di una camicia (ieri erano le camicie rosse di
Garibaldi, oggi quelle azzurre dei nazionalisti e quelle nere dei fascisti)” [11].
Quasi un “miraggio” il buon Giolitti che “ha tutte le qualità che in genere
mancano” al resto dei connazionali:
“egli è taciturno e
discreto; ama fare le cose piuttosto che parlarne; nutre un disprezzo istintivo
per la retorica e la demagogia e ha un innato talento per presentare un
argomento in maniera lucida e semplice; è pronto e risoluto; ha coraggio ed
assoluta fiducia in se stesso. In mezzo a un popolo fantasioso, impulsivo ed
eccitabile, egli è calmo e persino flemmatico come un vero anglosassone” [12].
Secondo
alcuni testi britannici, circolanti ad uso scolastico, segnalati al dicastero
degli Esteri in seguito ad un’opera di censura datata 1935, “the Italian is hot
blooded, passionate and quick to resent an injury” [13]. Dai libri rivolti
alla formazione dei futuri cittadani britannici emerge anche del nuovo: “the sunny climate makes the Italian indolent, light hearted and gay he
loves pleasure and delight in music” tanto che loro “are not very energetic,
they tend to get lazy and slack” [14].
Inoltre, “many, especially in Naples, have no permanent dwelling but they spend
their lives in the open air, and often prefer begging to honest work” [15].
Sappiamo
che, sebbene ambiziosi e articolati, i tentativi di rimuovere gli stralci
contenenti siffatte opinioni non riuscirono. Più volte i volumetti in questione
furono ristampati: tuttavia se mettiamo a confronto le diverse edizioni conservate
alla “British Library” di Londra li ritroviamo, a distanza di anni, sempre là
tra le pagine.
Tenace e ostinato Mussolini, però, non si
diede per vinto: come una tela su un palcoscenico aprì lui uno squarcio di
osservazione sul popolo britannico e lo strumentalizzò da un punto di vista
politico. Prospettata l’eclissi di ogni possibilità di buone relazioni col
paese, al vasto repertorio dei temi contro la Gran Bretagna aggiunse lo “scontro”
tra le peculiarità caratteriali dei due popoli. Specie in
relazione alle giovani generazioni, nella propaganda Anti British quello anglosassone
si distinse per la mancanza di ambizione e di fervore nella partecipazione alla
vita del proprio paese così come per la condotta di una vita sregolata dominata,
ad esempio, dall’assunzione eccessiva di alcool [16].
Come tratti distintivi di quello italiano, invece, predominarono l’austerità,
l’integrità e la moralità del modello comportamentale seguito. Rende un’idea del distanziamento tra i due popoli anche
la loro consistenza in termini numerici. In perfetta rispondenza con i precetti
della politica demografica, gli italiani furono presentati come espressione di
una nazione potente in quanto feconda, prospera e numerosa. Dal canto suo, la
stirpe anglosassone si distinse per la sua inconsistenza e sterilità: in più
occasioni le ladies britanniche furono
dipinte dalla stampa periodica italiana come “pudiche zitelle” “alquanto
attempatelle” [17].
La difesa della campagna razziale, poi, fu non di rado giocata facendo perno
sulle rispettive discendenze dei due popoli. Alla continuità con la tradizione
romana il cittadino inglese contrappone il legame ombelicale con l’immorale e
avida razza israelita. Da essa ha ereditato l’avidità, l’instabilità, il
nomadismo; caratteristiche che ne fanno un “business man” che non “ha scrupoli”
ed è “avido solo di guadagno” [18].
La visione del popolo italiano come legittima
stirpe continuatrice degli illustri antenati costituì un motivo portante anche
a proposito delle rivendicazioni imperiali. Già sul finire degli anni venti il
fascismo rivendicò la propria naturale propensione verso l’area mediterranea
suggellata dalla consolidata espressione latina di Mediterraneo come “Mare
nostrum” [19]. Legittimo
continuatore della civiltà latina, il popolo di Mussolini ha ereditato doti
caratteriali e comportamentali propedeutiche alla gestione di vasti imperi
d’oltremare. Dall’antica madre ha appreso lo spirito conquistatore e dominatore
ed anche la capacità di imporre giuste leggi sulle popolazioni straniere
sottoposte al proprio dominio. L’impero britannico, invece, non si basò “sulla
pace e sulla giustizia romane” ma, a conferma della natura infame di
provenienza anglosassone, sull’incondizionato “sfruttamento dei sottomessi” [20].
Infatti, “in imperial organization Rome reached
a perfection which had never been reached before, and which the British Empire
did not even approach. Rome succeded in forging many different peoples into a
single people. “Patriam fecisti diversis gentibus unam” [21].
Al dominio, il popolo nemico fu indotto da motivazioni opportunistiche e
immorali: in primis dalla disonesta “infiltrazione”
nell’area mediterranea. Una nota a sé, nel più circoscritto quadro delle
relazioni tra fascismo italiano e fascismo britannico, merita poi l’“infondato
e antistorico” tentativo di legittimare le proprie conquiste presentandosi come
erede dell’Impero romano: tema, questo, che costituirà un importante motivo di
allontanamento tra PNF e BUF (British Union of Fascists) [22].
Inaugurata nel
1935, la strategica “manipolazione” dello “scontro” tra le peculiarità
caratteriali dei due popoli conobbe una forte impennata durante l’ultimo biennio
degli anni Trenta, per toccare la sua vetta più alta nel 1940. In quella
funesta occasione la strumentalizzazione si espanse anche su un piano “orizzontale”
quando, alla schiera degli inglesi, Mussolini sommò ogni popolo fedele ai
principi ispiratori delle democrazie occidentali. Sotto la pressione di questa
spinta, le parole pregne di toni d’accusa si ribaltarono sul piano dell’azione
e dal balcone di palazzo Venezia il dittatore presentò l’imminente guerra come la “lotta dei popoli poveri e numerosi di
braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte
le ricchezze e di tutto l’oro della terra”; come “la lotta dei popoli fecondi e
giovani contro i popoli israeliti e volgenti al tramonto” [23]. Con
indosso i suoi abiti da istrione, il duce si illudeva così di trovare una “giustificazione politico-antropologica”
ad una guerra che la storiografia e l’umanità tutta valuterà ed archivierà come
ingiustificabile, da una prospettiva non solo politica, ma anche etica. Figuriamoci
antropologica.
[1] Benito Mussolini, Il discorso della
mobilitazione, 1935, in Opera omnia, a cura di Edoardo e Duilio
Susmel, Firenze, La Fenice, 1951-1963, vol. 26, p.160.
D’ora in poi tutte le citazioni riportate sono, salvo specificazione contraria,
di Mussolini.
[2] Per la ‘funzione’ affidata alla costruzione all’interno delle mire propagandistiche della mostra cfr. Andrea
Giardina, Andre’ Vauchez, Il mito di Roma:
da Carlo Magno a Mussolini, Roma – Bari, Laterza, 2000, p.234.
[3] Cfr. per l’utilizzo
dei temi in questo senso Silvana Patriarca, Italian
vices: nation and character from the
Risorgimento to the Republic, Cambridge University Press, 2010, p. 133,
136, 141. La citazione e’ tratta da Al
popolo di Perugia, 1926, in Opera omnia, cit.,
vol. 22, p. 228.
[4] Cfr. rispettivamente Al popolo di Pisa, 1926, in Ivi , p.145 e Alle camicie nere ed ai Cittadini
di Cagliari, 1926 , in Vomere e spada. Pensieri e massime, a cura di
Lena Trivulzio Della Somaglia, Milano, Hoepli, 1936, p. 97.
[6] Discorso all’Augusteo, 1921,
in Spirito della rivoluzione fascista, antologia degli
Scritti e discorsi, a cura di G. S. Spinetti, Milano, Ulrico Hoepli, 1937,
p. 67.
[8] Citazione in
Giovanni Aliberti, Carattere nazionale e
identita’ italiana, Roma, Nuova cultura, 2008, p.147.
[9] Aldo Berselli, L’opinione pubblica
inglese e l’avvento del fascismo, 1919-25,
Milano, Angeli, 1971, p.106.
[10] Per la
visione del popolo italiano e il tono della stampa britannica cfr. Ivi, p.
20-24. Vedi anche, sempre in Ivi, pp. 80-86 e per la citazione, p.24.
[11] Cfr. Ivi, p.81.
[12] Cfr. Ivi.,
p. 41. Citazione
di Berselli tratta da The Voice of Italy. From Red Terror to White, in «The Times», 14
Maggio 1921.
[15] T.
Alford Smith, A geography of Europe, cit. p.221.
[16] Cfr. per le prime caratteristiche citate Evoluzione delle giovani generazioni d’Europa. Gli Inglesi, in L’Eco del mondo, anno II, n. 8, 23
Febbraio, 1935. Per l’uso smodato dell’ alcool suggestiva per immagini e
contenuti e’ La Difesa della Razza,
anno VI, n.6 , 20 gennaio 1943.
[17] Queste due
definizioni sono, in ordine di citazione, in Giovanni Saracino, Premessa a L’Impero Italiano e l’Inghilterra, Milano, Impresa Editoriale
Italiana, 1936, p. 68 e Periplo
londinese, in Roma fascista, n. 44, 8 settembre 1938, p. 4.
[19] Rapporti con i paesi del Mediterraneo, in Roma fascista, 24 Marzo 1929, n. 12, p.
3. Per il medesimo concetto vedi anche I
giovani e l’Italia d’oltremare, in Ivi, p.5.
[21] Spirit of two people, in Fronte Unico, 25 Novembre 1937, p. 5.
[22] Per l’accusa mossa a proposito dell’espansione in area mediterranea e
citazione in virgolette riportata vedi Giovanni Saracino, L’Impero italiano e l’Inghilterra, cit. p. 64. Per una panoramica
chiara ed efficace dei rapporti tra PNF e BUF , invece, Claudia Baldoli, Exporting fascism. Italian Fascists and Britain’s Italians
in the 1939s, Oxford - New York, Berg, 2003. Vedi in particolare le pp. 43-58,
dove la studiosa delinea anche un quadro ideologico e tematico dei punti di
vicinanza, divergenza e progressivo allontanamento tra i due partiti.
[23] Benito Mussolini, Popolo italiano! Corri alle armi, 1940, in Opera
omnia, cit., vol. 29, pp. 404.