Water in the old garden (Bomeosa, Busan, 2013). Foto Rb.
Hwang Sok Yong,
The old garden. Edizione originale, 2000. Traduzione dal coreano in inglese di Jay Oh. New York, Seven Stories Press, 2009 (ed. Kindle).
Oh Hyun Woo viene liberato dal carcere dopo diciassette anni al termine del
periodo di dittature militari coreane, con conversione dunque della precedente
sentenza all’ergastolo. Difficile il riadattamento nella casa della famiglia
della sorella in una Corea inurbata e mutata in aspirazioni e comportamenti.
Hyun Woo ripercorre il proprio passato, ricollegandosi in parte con ex compagni
con cui c’è ormai poco in comune ma resta una solidarietà delle lotte vissute
di un tempo e mettendosi sulle tracce di Yoon Hee, la donna che aveva amato e
che le leggi speciali gli hanno impedito di rivedere anche solo per visite in
carcere. Scopre che non è più, ma gli ha lasciato una figlia con la quale alla
fine del libro, con tatto, riesce a riconnettersi.
Questa vita tagliata sullo sfondo della politica di opposizione sud coreana
e con l’episodio centrale del massacro di Gwangju viene ripercorsa tramite le
riflessioni in prima persona e la narrazione del protagonista, con descrizione
anche della vita del carcere oltre che delle discussioni ideologiche, delle
cospirazioni, delle vicende pubbliche, di un idealismo che ha modificato
completamente una vita: “This is called the Fall of Icarus. Compared to everyday life, tha fall of an idealist who flew too high
with candle-wax wings is an unremarkable tragedy”
Visitando il luogo in cui aveva vissuto con Yoon Hee, scopre che gli ha
lasciato un diario, che anche noi leggiamo intercalato alla narrativa esposta
dalla voce di Hyun Woo e a lettere di vari personaggi. Si delinea così, da un
lato uno spazio di testimonianza femminile, reso con emotività trattenuta e
semplicità voluta, ma rivelatore di una personalità complessa oltre che dei
rapporti tra uomini e donne all’interno del movimento rivoluzionario di quei
decenni e della subalternità femminile, cui Yoon Hee fa eccezione con
difficoltà personali, rappresentando un momento di liberazione, nato anche dal
fatto di essere artista, il che apre un’ulteriore dimensione metatestuale di
questo romanzo complesso e profondo oltre che intimamente rivolto alla vita
personale e al contempo impegnato sul versante politico e sociale.
La memoria di lui non si colora mai di sentimentalismo esagerato, anzi dopo
parecchi anni si coinvolge, senza dimenticare l’amato e il padre di sua figlia,
con un uomo in Germania, anch’egli strappato (per incidente) dal destino.
Entrambi protagonisti, i due narratori di questo libro presentano una
storia che riflette quanto è accaduto, mentre costruisce un interrogativo sulla
personalità e le occasioni mancate definite dalla tragedia storica di un intero
paese:
“Don’t you think
that our history post-liberation is just like the game of stacking up Korean
chess-pieces? You start with a couple, then more, and you think you’ve finished
building this tower, But there’s this irresistible force that slums the board,
and the chess pieces fall like a castle. On top of ashes and bloody ruins we
start building again, one by one. […] We just keep building and collapsing […]
again and again”.
Abbiamo recensito altre storie di Hwang, un autore di notevole respiro
letterario e di chiaro e non banale engagement.
[Roberto Bertoni]