23/04/13

Balachandra Rajan, TOO LONG IN THE WEST


Kingswood (Surrey, UK), The Windmill Press, 1961.

Diplomatico e docente universitario, Balachandra Rajan (1920-2009) lascia, con Too long in the West, una narrativa in parte documentaria del rapporto tra India e Occidente negli anni precedenti lo sviluppo recente, con elementi di rivendicazione di orgoglio nazionale e di indipendenza nella conduzione delle strategie di sviluppo e problematiche di adattamento e disadattamento nel contatto con gli Stati Uniti.

Nalini, la giovane protagonista, appartenente a una casta privilegiata di bramini e benestante, torna da vari anni di soggiorno negli USA dove, per desiderio del padre, si è recata per conseguire una laurea presso la Columbia University. Al suo arrivo alla proprietà terriera, isolata, della famiglia, viene sottoposta alle modalità di un matrimonio combinato, con i pretendenti che arrivano da vari luoghi e da diverse condizioni sociali (data la formulazione dell’annuncio matrimoniale in termini volutamente generici da parte del padre): un giornalista, un aspirante scrittore, un uomo d’affari e un biologo americano suo ex compagno di studi.

Quest’ultimo, in particolare, è il tramite del dibattito, a tratti acceso, sulla differenza di impostazione tra India e i paesi dell’Ovest più sviluppato. Rimproverato di paternalismo dal più spinto nazionalista per spingere in direzione di un’evoluzione basata su modelli non autoctoni; artefice di una battaglia contro la malaria, di fatto cooperante in buona fede; infine involontario agente di uno scandalo. Rimasto solo con Nalini, per ragioni non dipendenti dalla loro volontà, ma dai capricci della natura, per un giorno, al ritorno alla proprietà la ragazza viene accusata di comportamento immorale dalla comunità del villaggio, guidata dal barbiere Raman. Per rimediare, prima che la sollevazione si trasformi in sommossa e forse in tragedia, Nalini accetta di sposare il giorno dopo uno dei pretendenti. Tra la sorpresa generale sceglie proprio Raman: nella dichiarazione del momento pe vendetta; ma nell’ultimo capitolo, ambientato anni dopo ed esplicativo, si rivela una scelta lungimirante, che porta benessere e pacificazione alla zona.

Sebbene il tono del romanzo sia spesso satirico, in generale questa conclusione, non normalizzante, rileva la creatività proveniente da una donna emancipatasi ma in grado di inserirsi con originalità nella tradizione.

La predizione delle prime pagine del romanzo era, dopo troppi anni in Occidente:

“You won’t fit in. You’ve joined the lost generation, out of place everywhere and acceptable nowhere. You’ll always be an exile and an alien, a self-created foreigner, a refugee from yourself. You can’t belong. You’ll live in two worlds and fall between two stools” (p. 66).

Tale previsione, dunque, non si realizza. Al contrario Nalini rivela fedeltà al Paese natio pur senza evitare di manifestare anche il proprio disagio e le difficoltà di risiedervi di nuovo:

“‘I’ll never forget my three years abroad’, she said, ‘but I grew up in this place. It’s queer and crummy and maddening. When I’m in it I’m often furious with it. When I leave it then something drops out of my heart. I can’t forget the smell of its earth and the taste of its water and the craziness of the house in which I’ve lived and Father’s pomposity and the way Mother watches over me like a dragon. I simply can’t stand it and I’ve always belonged to it” (p. 142).


[Roberto Bertoni]