27/03/13

Mo Yan, CAMBIAMENTI


Roma, Nottetempo, 2011

Colpisce la scorrevolezza di questa memoria di Mo Yan, che parte dagli anni Settanta, in una fase di tarda Rivoluzione Culturale, col narratore in prima persona ancora a scuola, e arriva ai nostri giorni, segnalando i mutamenti della Cina e chiudendosi non senza tristezza, nonostante il concomitante tono ironico seguito fino all’ultima pagina, con un tentativo di corruzione, pur se di piccola entità e da parte di un’amica del narratore, quasi a segnalare fino a che punto si sono deteriorati certi aspetti della società.

A una recezione occidentale, non può (o forse è un gusto soggettivo di chi qui scrive) che essere di conforto che gli avvenimenti biografici siano raccontati come elementi di un percorso di vita che è scandito come si sarebbe svolto anche altrove, senza cioè l’eccezionalità che chissà perché ci si dovrebbe aspettare da un autore che ha vinto il Premio Nobel e per una bizzarra conseguenza dovrebbe criticare con virulenza il suo paese, al quale invece appartiene, e che è caratterizzato in questo libro da quotidianità, passioni, scelte, fortune e sfortune come succederebbe il un altro paese, cioè in un paese non comunista. Riteniamo questo taglio sugli eventi più interessante di quanto non sarebbe un discorso ideologico a tutti i costi, e illustrativo della società rappresentata in modo forse più incisivo.

Si direbbe anche di poter individuare una nostalgia del passato, la stessa che abbiamo riscontrato in alcuni film di Zhang Yimou, di quando i valori erano sentiti con forza e la vita era più semplice, ovvero una nostalgia della società rurale e arcaica seppure non della Cina tradizionale e oppressiva delle classi subalterne.

L’umano prevale sul politico; e il politico emerge proprio per questa ragione.

Ma restano gli aneddoti della scuola, l’amore non ricambiato, le esperienze della vita militare, la vocazione alla scrittura, il successo, raccontati tutti con studiata semplicità e umana partecipazione.


[Roberto Bertoni]