23/03/13

Eodardo Nesi, L’ETÀ DELL’ORO



Milano, Bompiani, 2004

Il protagonista, Ivo Barocciai, viene immaginato in un futuro relativamente vicino rispetto alla data di pubblicazione del libro, con predizione di un’avvenuta crisi del settore tessile a Prato, i cui prodromi esistevano già da tempo e che si è in effetti verifica venendo ai nostri anni. Agenti ne sono la competizione cinese, che ha offerto prodotti più vendibili sul mercato globale e meno costosi, e nel romanzo viene immaginata sgominata anch’essa, e la più generale crisi dell’economia italiana e mondiale. Questi elementi vengono presi in esame da Nesi e costituiscono uno dei fili conduttori, sul piano del riflesso sociale, del romanzo. Per quanto l’autore non esprima commenti discriminatori in senso razzista, la sua voce, che traspare nella funzione narrativa di commento implicito, esprime giudizi negativi sulle modalità della loro presenza, con un confine sull’incomprensione a livello di civiltà, organizzazione del lavoro e certo non curiosità e volontà di comunicazione; per esempio:

“Rimasero anche le decine di insegna laccate e illeggibili, nobilitate dalla bellezza e dall’aliena complicazione della calligrafia, appese sopra negozietti pulciosi nei quali era impossibile capire da fuori cosa si vendesse, e così si potevano immaginare traffici ottocenteschi di cose cinesi mai viste prima, tipo quei loro ramolacci contorti lunghi mezzo metro, giade, antiche sete, ossidiane. Certo si parlava tanto di mafia cinese ma nessuno la vide mai in azione, e anche se un qualche vago sentore di crimine pareva l’unica possibile spiegazione all’arricchimento di certo giovinastri che giravano  sulle BMW ricomprate dai fallimenti dei pratesi, c’era invece il mistero totale su come fosse possibile guadagnare in quel modo e così alla svelta […]”.

Un’integrazione non avvenuta e, a parere di Nesi, non voluta:

“Ma la cosa più incredibile dei cinesi di Prato era che non volevano nessuna integrazione, chiedevano solo di essere lasciati in pace perché ai pratesi non avrebbero dato noia e da loro non avrebbero preso né preteso nulla, non il lavoro e non la rappresentanza politica, non avrebbero mai protestato né fatto cortei, mai chiesto né imparato nulla. Erano del tutto autosufficienti […]”.

In questo libro, i cinesi restano un gruppo di persone misteriose e incomunicabili: “perché fossero venuti proprio a Prato a costituire la comunità cinese più grande d’Europa, più popolosa di quelle di Londra, di Roma e di Parigi, e perché poi un giorno se n’erano andati, ecco, quello non lo dissero mai”. Forse, però, bastava chiederglielo, cosa che la frattura di comprensione e comunicazione, fonti della comprensione reciproca, sembrerebbero qui impedire, rafforzando la trasformazione dello straniero in diverso e alieno, qui con l’aggiunta dell’enigmaticità.

Un secondo nucleo tematico è quello del passaggio da ricchezze miliardarie alle ristrettezze economiche, con l’assunto fabulistico dell’impoverimento con le sue conseguenze comportamentali, e la rappresentazione dei due momenti degli ultimi decenni, quello della prosperità degli anni Ottanta e della successiva recessione. Il protagonista vive questo passaggio con dignità e con disperazione, rievocando i momenti di gloria sul lavoro, nell’ambito di una mentalità di tipo dichiaratamente liberale (che ha il Grance Gatsby come modello ideale), seppure rispettosa, va detto, dei lavoratori sul piano umano, l’entusiasmo dell’iniziativa privata, l’aggressività del business e poi la caduta, con la costernazione dei familiari rimasti (la sorella Deanna) e di colleghi e amici.

Il terzo nucleo è erotico-sentimentale e descritto come matrimonio fallito per i tradimenti di Ivo, di cui vengono dati anche i rapporti con le amanti, Rosa in particolare, e l’ultima e la più giovane, Caterina, finita in una clinica psichiatrica perché un suo video sessuale era stato tramesso su Internet dall’ex fidanzato. Ormai settantenne, il rapporto di Ivo con Caterina è protettivo al punto da proteggerla dalle ricerche della polizia e da lasciarle in eredità, dato che sta per morire di cancro, un quadro di Bacon, la cui vendita le assicurerà un futuro agiato. Tra descrizioni erotiche piuttosto esplicite, non proprio necessarie alla conduzione della narrazione a nostro parere, forse esistenti per l’occhio verso la banda commerciale del volume, e un’umanità residua ed espressa con sentimento, si muove questo personaggio in subbuglio e in viaggio verso la morte in un’Italia cinica e rovinosa.

La struttura è in parte di racconto nel presente e in parte di flashback.


[Roberto Bertoni]