Italia, 2012. Sceneggiatura di Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Con Omero Antonutti, Michela Cescon, Laura Chiatti, Giorgio Colangeli, Denis Fasolo, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni, Giulia Lazzarini, Luigi Lo Cascio, Giorgio Marchesi, Valerio Mastandrea, Sergio Solli, Giorgio Tirabassi, Thomas Trabacchi, Luca Zingaretti
In un’intervista Giordana dichiara di
essersi trovato su un tram nei pressi della strage di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969, da cui in parte la
decisione di fare questo film e, per sua ammissione, comunicare non solo i
fatti, ma “le emozioni” e “il sentimento di un tempo”, affidato anche alla
recitazione che ricostruisce la dizione, le idee e il modo di muoversi e di
atteggiarsi di quegli anni, rivolgendosi, continua il regista, soprattutto alle
giovani generazioni, che non necessariamente conoscono lo svolgimento degli
eventi. La suddivisione in capitoli ha la funzione di “scandire i tempi
psicologici”. La base è documentaria, ma le intenzioni sono quelle del “romanzo”
[1].
Nel film, come osserva Corrado Stajano, “sono
ben documentati, con le responsabilità della destra neofascista veneta, le
complicità e i depistaggi dei servizi di sicurezza e soprattutto dell'Ufficio
Affari Riservati”.
Stajano aggiunge: “Peccato, bisogna dirlo con amarezza, che
in questo smisurato film un po' asettico non si ritrovino né la passione né le
emozioni di quegli anni infuocati” [2]. Su quest’ultimo giudizio discordiamo vivamente.
In parte quelle passioni sono presenti; ma in parte ci pare un merito del film
quello di mantenere un distacco dagli avvenimenti e mettere in rilievo, con un
procedimento di scoperta successiva, le verità scomode come gli altri attentati
del periodo: la morte di Feltrinelli, la pista di Gladio, i depistaggi e le
manovre di spostamento della fattualità da parte delle forze occulte che si
muovevano allora.
Il film prende posizione
rispetto a Calabresi, facendone una vittima delle medesime macchinazioni; e
rivaluta la figura di Moro, in quanto consapevole dello stragismo di destra, pur
facendogli alla fine scegliere la “ragion di stato” (per citare l’espressione
usata un capitolo decisivo del film) e la non denuncia degli elementi in suo
possesso. Inoltre valuta con positività la figura di Pinelli. Mette in luce le
manovre fasciste e la dinamica della “strage di Stato”.
A nostro parere, al di là delle opinioni e
delle interpretazioni personali di Giordana su fatti che restano a tutt’oggi in
larga parte oscuri e in parte notevole impuniti, sia ove si siano identificati i
responsabili, sia ove si siano arenate le indagini, la
pellicola rivela alcuni elementi autentici di impegno: non solo la ricerca di
una verità possibile, ma anche un mantenimento delle emozioni, pur cercate, si è
visto, dal regista, entro limiti coerenti e civilmente tesi a non svilire
banalmente il “nemico”, bensì a dimostrarne la logica ferrea e colpevole,
articolando il discorso su alcuni temi chiave, come l’opposizione al sistema di
potere, l’estremismo, gli agglomerati fatali della destra fascista e di apparati dello Stato, ma anche l’onestà di alcuni giudici e il problema centrale di cosa sia e
come vada articolata la giustizia.
NOTE
[1] Marco
Tullio Giordana racconta Romanzi di una strage, Intervista rilasciata da
M.T. Giordana, a cura di S. Rossi.
[2] C. Stajano, Dalle due bombe a Lotta
Continua, “Corriere della sera”, 28-3-2012.