21/02/13

Davide Rossi, PYONGYANG, L’ALTRA COREA


Introduzione di M. Scaini. Postfazione di F. Pettinari. Milano-Udine, Mimesis, 2012.


Abbiamo letto con una certa irritazione vari reportage occidentali sulla Corea del Nord, che, riferendo su un soggiorno di pochi giorni, pretendono di rappresentare in modo esauriente la realtà di quel Paese; al contrario guardano in realtà con occhio ideologico e con pregiudizi anticomunisti prefigurati in partenza, per cui non si sa la verità, bensì si viene a conoscenza di qualcosa che era già definito prima dei viaggi compiuti da questi autori. Da tali reportage sulla Corea del Nord risultano dunque totalitarismo, chiusura verso il mondo esterno, sofferenze economiche, Stato-prigione. Non è questo un buon servizio reso alla verità, che ha invece bisogno di documentazione storica, dati statistici, osservazioni a-pregiudiziali che consentano di riferire anche semplicemente impressioni di viaggio in modo obiettivo e accompagnate da adesione umana alla realtà rappresentata. In tal modo sarebbe possibile formarsi un’idea più rappresentativa del Paese in questione.

Tuttavia, con la medesima irritazione, pur se di segno opposto, abbiamo letto Pyonyang, l’altra Corea, reportage di Davide Rossi, in cui esistono solo apprezzamenti positivi sulla Corea del Nord, confortati da osservazioni oculari, ma una volta di più non da dati statistici, tranne rare eccezioni.

Da un lato, fa piacere che ci sia chi, come Rossi, va in Corea del Nord e cerca di individuare aspetti positivi di anticonsumismo, di valorizzare la cura nordcoreana per l’istruzione e di eseguire notazioni sul fatto che gli abitanti non sono strani animali da zoo ma gente che esce, sorride, va nei parchi, mangia, beve, dorme come le altre persone di tutto il mondo, cioè non c’è, da parte di Rossi, una demonizzazione pregiudiziale, appunto.

Dall’altro lato, pare infondato il suo giudizio totalmente ed esclusivamente positivo, come se quella società non fosse totalitaria e costituisse un modello utopistico da seguire docilmente.

Oltretutto, ci sono distorsioni storiche. Per esempio, se è vero che nella guerra di Corea ci fu l’intervento della Cina perché gli Stati Uniti volevano proseguire verso nord invadendo anche la Repubblica Popolare Cinese, è però taciuto, in questo volume, il dato di fatto storicamente accertato che fu la Corea del Nord a invadere la Corea del Sud nel 1950 e non viceversa.

Sostenere poi che la Corea del Sud costituisce un modello economico in declino in opposizione alla Corea del Nord è quanto meno un rilievo bizzarro. La Corea del Sud ha senz’altro un modello capitalista e consumista, ma è oggi tra i maggiori protagonisti dell’economia mondiale, è secondo alcune statistiche al quindicesimo posto tra i paesi più sviluppati e, tra parentesi, al primo posto nelle classifiche mondiali per qualità dell’istruzione scolastica e universitaria. Inoltre, chiamare “regime” il governo di Seoul, come fa Rossi, ha un che di paradossale, visto che tale è stato per decenni di dittature militari, ma ha infine, nella fase più recente, messo in atto un passaggio alla democrazia che, tra l’altro, ha rivitalizzato il paese dal punto di vista finanziario, culturale, esistenziale. Si potrà semmai usare, nel periodo attuale, la parola “regime” per il governo ereditario di Pyeongyang.

Non crediamo che sia compito di un osservatore occidentale prendere parte per l’una o l’altra Corea, bensì semmai quello di guardare entrambe in modo il più possibile non influenzato dai cliché dominanti e con accostamento umano e sociologico imparziale, cosa che il libro di Rossi evita di fare.


[Roberto Bertoni]