25/02/13

Banana Yoshimoto, TSUGUMI



[Not a senbei, but Japanese cakes (Kyoto 2012). Foto Rb]


Banana Yoshimoto, Tsugumi. Prima ed. Giapponese, 1989. Traduzione di A.G. Gerevini. Milano, Feltrinelli, 2010

Il Postscriptum indica che il personaggio principale, che dà il titolo al volume, non è la voce narrante in prima persona, ma un alter ego dell’autrice; l’intensione era riferire si un’estate trascorsa al mare “perché volevo lasciare impresse da qualche parte le sensazioni di quei giorni: quel ‘non esserci niente’” in un luogo in cui “non succede niente di speciale” (p. 153).

Se, come si rilevò agli esordi di Yoshimoto, la sua cifra era il minimalismo, questa postfazione lo conferma e lo giustifica. Tuttavia, come già abbiamo avuto occasione di osservare, e com’è notazione ormai propria delle recensioni e della critica, c’è molto di più nelle narrazione della scrittrice giapponese, che si pone di fronte a scelte etiche che li per li sembrano di non alta entità, ma si rivelano poi tali da mettere in gioco un’intera esistenza. Yoshimoto si confronta col rapporto tra la vita e la morte; e penetra nelle psicologie dei personaggi e nelle loro motivazioni con tatto e leggerezza che portano in profondità.

L’intreccio è fondato sul rapporto di amicizia tra due cugine nella tarda adolescenza: la voce narrante, Maria, una ragazza assennata e in accordo col mondo, e Tsugumi, coetanea ispida, ferita da una malattia cui cerca di reagire con cattiveria e offendendo gli altri. Forse ciò che più stupisce, con probabile riferimento alla pazienza e all’accettazione buddhiste, è quanto i familiari, soprattutto la madre e la sorella minore Yoko, accettino Tsugumi e manifestino pazienza nei suoi confronti. La relazione con Maria è piuttosto complessa, ma si risolve in un’amicizia in cui l’affetto vince sulla repulsione; e la compassione per la condizione di inferma della protagonista, senza essere venata di condiscendenza, prevale. In fin di vita, Tsugumi riesce a salvarsi, invogliata a lottare contro la malattia in particolare da un innamoramento per Kyōichi, un ragazzo che le è devoto e le è simile come personalità.

Leggiamo nelle ultime pagine la lettera che, convinta di morire, scrive a Maria: negli ultimi capoversi le parole: “La mia vita è stata proprio insignificante” (p. 152). Uno dei meriti di Yoshimoto è quello di fingere di riferire vite “insignificanti”, mentre invece, dietro l’apparente banalità, si dipanano il dolore, le passioni, le difficoltà, che spiegano i comportamenti in superficie astrusi e approfondiscono i ritratti umani delineati.

È vero che la natura, soprattutto il mare, è presente dall’inizio alla fine del romanzo, ma ha qualcosa di più di una notazione d’ambiente e di un ricordo gradevole di una vacanza di Maria nel luogo natio dove ancora vive Tsugumi. È correlativo oggettivo, similitudine delle sensazioni, osservazione di dettagli da cui si dilatano le emozioni. Un esempio: “Quando uscii era già calata la sera. Nel vento fresco sentii un leggero odore di salsedine. In quella penisola era come se il mare avvolgesse interamente la città. Mentre camminavo nel buio della notte, mi venne una leggera voglia di piangere” (p. 135).

Piccoli oggetti simbolici, come un senbei [1] non consumato da Maria e dal padre, nonostante ne siano golosi, ma lasciato sul tavolo “per la mamma [...] a testimoniare la felicità della nostra famiglia” (p. 38); non una frase da libro Cuore, dato che questa serenità è frutto di sforzo, dolore, emarginazione dalla piccola comunità del paese a causa del fatto che i due genitori vivono insieme, ma lui è separato e la moglie non gli concede il divorzio che verso metà romanzo, infine i due amanti e la figlia decidono di trasferirsi a Tokyo.

Un modo descrittivo e originale di rendere i riti di passaggio dell’identità: “D’un tratto mi ricordai che [...] ero cresciuta, che non vivevo più in quella terra e che frequentavo l’università a Tokyo. Era davvero incredibile. La mia mano abbandonata nel buio sembrava un oggetto sconosciuto” (p. 62) [2].


NOTE

[1] Cracker di riso.
[2] Corsivo nostro.


[Roberto Bertoni]