[Image from the walls of Kyoto. Foto Rb]
Amélie Nothombe, Ni d'Eve ni d'Adam, Parigi, Albin Michel, 2007
Nothomb ha dichiarato più volte la propria predilezione per il Giappone, che si riduce, tuttavia, a un’idealizzazione del periodo dell’infanzia che trascorse, a partire dalla nascita, nella regione del Kansai.
Le esperienza della vita adulta, al ritorno nel 1989, risultano
alquanto deludenti, come già abbiamo visto recensendo Stupeur et tremblements [1], storia di un’integrazione sperata, ma
mancata, nel mondo del lavoro nipponico, a contatto con gelosie professionali e ritmi ostici.
Quel romanzo, nelle ultime pagine, indicava
una nota più positiva nell’esperienza extra-aziendale della protagonista,
che viene espressa in Ni d’Eve ni d’Adam.
Tuttavia,
anche in questo secondo romanzo, si ribadisce la stessa distanza e difficoltà
di comunicazione col Paese reale, non corrispondente a quello immaginario dei
ricordi d’infanzia, nonostante la competenza linguistica della protagonista che la porrebbe, in astratto, in una posizione di privilegio sul piano dell'interazione, ma si risolve non in uns fusione con l'altro, al conrario in un'esperienza di solitudine.
Così, in Ni d'Eve ni d'Adam, la narratrice autobiografica dipana
una storia di innamoramento da parte di un giovane giapponese proveniente da
una famiglia benestante, Rinri, cosmopolita e devoto alla fidanzata belga, che
non sembra tuttavia condividere né la profondità dell’interesse sentimentale
del ragazzo, né il tentativo del medesimo di capire il mondo della giovane
donna.
In breve, sul piano della comunicazione
interculturale, anche la storia d’amore rivela alla narratrice l’equivoco di
aver desiderato di appartenere a una cultura nella quale non si riconosce e che
esplora con una soggettività occidentale, non aderendo, ma stando all’esterno e
giudicando, per lo più negativamente, abitudini, modi di essere, rituali.
Non profondamente coinvolta emotivamente con Rinri, sentendosi respinta dalla famiglia di lui, spaventata dalla proposta di matrimonio del fidanzato, alla fine mette in atto una
fuga, allontanandosi per sempre dopo avergli detto che si recava
in vacanza in Europa per un periodo breve, insomma senza nemmeno arrivare a un chiarimento. La fuga
è tanto da questa relazione sentimentale sfortunata quanto dal Giappone.
È vero che il libro reitera l’ironia e il
minimalismo con cui Nothomb guarda la realtà, ma ci ha un che sorpreso, forse
anche deluso, questo osservare soggettivizzante, non reciproco, verso la realtà
del luogo di soggiorno.
NOTE
[1] Cfr. “Carte allineate”, 25-10-2012.
[Roberto Bertoni]