[Florist in Dublin. Foto Rb]
Catherine Wihtol de Wenden, LA QUESTION MIGRATOIRE AU XXIe SIÈCLE. Parigi, SciencesPo, 2010.
Gli studi sulle
migrazioni si sono approfonditi e ampliati negli ultimi decenni in relazione
principalmente alla dimensione globale dei fenomeni migratori; alla quantità
delle persone coinvolte (circa quattrocento milioni su scala planetaria); agli
spostamenti non solo da Sud a Nord e da Est a Ovest, ma da Sud a Sud, da Est a
Est; alla modificazione dei pattern
tradizionali riguardanti le motivazioni (se si emigra in prevalenza per povertà
e per migliorare una condizione personale e familiare, questa non è l’unica
ragione), la permanenza (non necessariamente la parabola migratoria va da
uscita dal paese di origine, soggiorno nel paese ospite, ritorno dopo periodi
prolungati di assenza al luogo natio), la maggiore facilità di contatti col
paese di origine a causa dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche e
delle opzioni di viaggio; alla presenza crescente di comunità transnazionali e
diasporiche;alla dinamica multietnica che ha spesso sostituito l’integrazione
nella cultura dominante del paese di arrivo; alla demonizzazione dell’immigrante
in troppi casi in Occidente; ai fenomeni di terrorismo internazionale.
Di tutti questi problemi
si occupa Wihtol de Wenden in questo volume utile e riassuntivo delle posizione
espresse anche altrove dall’autrice, con un rilievo particolare, in questo caso,
alla trasformazione secondo la quale “les migrations internationales érodent
[...] les deux piliers du système international que sont la souveraineté (l’Etàt)
et la citoyenneté (la nation)” (p. 15).
Gli Stati vedono spesso
le migrazioni come minacce, mentre al contempo la dialettica dello sviluppo e l’uso
della forza lavoro da parte delle forze produttive dominanti la richiedono. Le
istituzioni internazionali sottoscrivono il diritto degli individui a spostarsi
liberamente, che è un “droit de l’homme fondamental: celui du droit à la
migration, à la mobilité pour changer de vie” (p. 90), eppure gli Stati pongono
limitazioni. Le frontiere esistono ancora e un mondo senza frontiere non è
facilmente, per ora, raggiungibile.
“Mais la frontière est
aussi intérieure aux États: pour les extracommunitaires, le défaut de papiers
en règle constitute une frontière, lourde de conséquences pour le travail, la
vie quotidienne, la mobilité” (p. 89).
La società, su scala
mondiale, è ormai caratterizzata dal nomadismo che trasforma anche le identità
personali e collettive. Forse, osserva l’autrice, anche il termine multiculturalismo
dovrebbe essere sostituito da cosmopolitismo, transnazionalismo e dinamiche diasporiche.
Alla caduta delle
barriere geografiche, una delle più evidenti delle quali è la caduta del muro di
Berlino, si accompagna una crisi delle barriere giuridiche, come pure di quelle
categoriali, come “la dichotomie travailleurs étrangers/réfugiés” (p. 26): la
stessa persona può infatti essere di volta in volta “sans-papiers, étudiant,
touriste, travailleur, salarié, expert, demandeur d’asile, candidat au
regroupement familial” (p. 28).
Uno dei problemi dell’Europa
è il fatto che, pur esseno diventata una delle zone di maggiore immigrazione
del mondo “tarde à se reconnaître comme telle, car elle a longtemps considéré l’immigration
comme un phénomène provisoire, non constitutif de son identité” (p. 49).
La proposta di Wihtol de
Wenden è logicamene quella della società multiculturale, ovvero dell’accettazione
dell’alterità, in un mondo divenuto ormai pluricentrico e transnazionale.
[Roberto Bertoni]