[Snow in Dublin seen from a distance. Foto Rb]
Raffaele Donnarumma, DA LONTANO. CALVINO, LA SEMIOLOGIA, LO STRUTTURALISMO. Palermo, Palumbo, 2008
Secondo Donnarumma, Calvino è
distante dal nostro presente. Una delle ragioni è il fatto che “non è stato e
non ha voluto essere un romanziere in senso pieno” (p. 10) a causa del suo
distacco dai modelli realisti a favore di quelli che vanno da Stevenson a Nievo
a Queneau.
Le opere da Cosmicomiche (che Donnarumma giudica,
assieme a Ti con zero, “il libro più
sperimentale della carriera di Calvino”) in poi rappresentano il Calvino
postmoderno, un periodo che si è esaurito ed è stato sostituito da un ritorno
al realismo e alla narrativa tradizionale.
La nuova poetica calviniana gli
permette i reinterpretare il mondo tramite la semiologia e lo strutturalismo, teorie
da cui in parte dissente pur concordando con molti dei loro aspetti. Donnarumma
mette in rilievo, in cosmicomiche e Ti con zero, il superamento dell’umano,
la letteratura come scambio sociale, gli spunti wittgensteiniani, i debiti
verso Barthes. In conclusione “la riflessione strutturalista aggredisce il
realismo con un tale accanimento da lasciarlo in pezzi” (p. 40).
L’autore
di questo saggio indaga i rapporti tra Tristi
tropici di Lévi Strauss e Città invisibili, che ne riprendono l’intento
saggistico ma in modo fantastico. La struttura modulare è un altro degli
elementi di rifiuto della narratività di questo testo.
“Tramontato
[...] il realismo, ciò che conta è l’appello a una nuova percezione della
realtà. Fantastico e utopia diventano così due strade privilegiate per una nuova
idea di letteratura! (p. 58). Ne risulta modificato anche il senso dell’impegno,
non più diretto in senso politico come ai tempi delle opere realiste e della
fiabe degli anni Quaranta e Cinquanta, ma obliquo e in funzione di una
trasformazione della realtà attuata tramite il mutamento delle coscienze (l’“utopia
pulviscolare”), nondimeno con una critica della società. Il progetto di Calvino,
dagli anni Sessanta in poi, pare quello di “istituire attraverso lo sguardo e
lo stile un nuovo rapporto con il mondo” (p. 73).
Il Castello dei destini incrociati nasce
dalle concezioni strutturaliste. In parte, però, si potrebbe fare un paragone
col rapporto instaurato da Lévi Strauss tra bricolage
e mito. Da qui forse anche la scelta di Calvino di esprimersi per immagini,
legata a una delle modalità del mito. Quelli di Calvino sono rifacimenti di
racconti già esistenti: miti in quanto “patrimonio collettivo di racconto e di
esperienza” (p. 98). Anche il Castello,
chiarisce Donnarumma, rompe con l’impegno diretto in politica e rappresenta una
forma di impegno sociale indiretto. E il racconto mitico calviniano è una
maniera di rappresentare la realtà. Il tema dominante, tuttavia, è
metanarrativo: protagonista è l’arte stessa del narrare.
Se una notte d’inverno un viaggiatore
innova sul piano strutturale, in quanto non è tanto a combinazione quanto ad
accumulazione, realizza il progetto iper-romanzesco. Donarumma vede un
parallelo con S/Z di Barthes. Pare
che ci sia un ritorno al realismo, ma non è in realtà così: del realismo viene
recuperata la “veste esteriore”, c’è “non un effetto di reale, ma una
simulazione del reale” (p. 148).
[Roberto
Bertoni]