05/05/12

Norihiro Koizumi, FLOWERS




[Spring blossoms at Kyoto temple (April 2012). Foto Rb]


Norihiro Koizumi, FLOWERS. Giappone, 2010. Sceneggiatura di Shu Fujimoto e Yuiko Miura. Con Yu Aoi, Rioko Hirosue, Yukie Nakama, Kioka Suzuki, Yuko Takeuchi, Rena Tanaka
 
Ben diversa dai precedenti film di Koizumi (SONG OF THE SUN, 2006 e GACHY BOY, 2008), questa pellicola raffinata e parzialmente sperimentale affronta elementi di metalinguaggio, citando, per ognuna delle epoche rappresentate, i quadri d’ambiente e la tipologia cinematografica del tempo (il bianco e nero e i primi piani intensamente psicologici per gli anni Trenta, la musica degli anni Sessanta, la naturalezza apparente del modo di filmare del secolo attuale).

La condizione femminile è rappresentata attraverso la difficoltà della scelta individuale rispetto alle decisioni della famiglia della prima decade raffigurata, fino alla conduzione indipendente della gravidanza in assenza del padre da parte della madre nel ventunesimo secolo.

La natura frattanto è presente di continuo come correlativo oggettivo con le stagioni:  memorabili soprattutto i mandorli in fiore degli spezzoni in bianco e nero e i vestiti rosso scarlatto sulla neve nelle parti attuali.

Le storie narrate si intrecciano vuoi perché appartengono a varie generazioni della stessa famiglia, vuoi perché l’andamento cronologico è zigzagante: apprendiamo alcuni dettagli degli anni Trenta, ma poi il racconto si sposta negli anni Sessanta-Settanta e nel presente, per intercalarsi di nuovo a varie riprese, sicché la diacronia degli avvenimenti viene ricostruita solo gradualmente con un’opera di collaborazione a mosaico da parte dello spettatore. Si tratta, immaginiamo, oltre che di una scelta estetica, di una maniera di indicare, pur nelle rotture tra i comportamenti familiari dei diversi periodi esaminati, anche una continuità funzionale: un eterno umano, insomma, accompagnato da un contingente storico e sociale.

Alla fine del film, abbiamo le chiavi per comprendere cosa è successo nei frammenti visualizzati, in cui si sono dipanate le storie di sei donne di tre generazioni: Rin che nel 1933 si ribella inizialmente alla volontà del padre di farla sposare con un uomo da lui scelto, ma accetta infine e ha un matrimonio costruttivo; le figlie di lei Kaoru, Midori e Satu che scelgono i propri sposi negli anni Sessanta e Settanta, pur andando verso diversi destini di gioia e tristezza; infine le due sorelle dei nostri anni, Key e Kana, una sposata e l’altra in attesa di un figlio da un fidanzato con cui si è lasciata.

È un film intelligente, ben filmato e che rivaluta, accanto alla dignità e alla rivendicazione del conflitto, anche la sua ricomposizione tramite il compromesso, a volte, e in altri casi per mezzo del dialogo. Vengono messe in rilievo la grazia e l’avvenenza femminile basate su modelli sobri. Vengono apprezzate la modestia e la naturalezza. Si insiste sull’espressività del volto e dei gesti e sulla semplice presenza nel mondo come destino esistenziale.


[Roberto Bertoni]