[Spring blossoms at Kyoto temple (April 2012). Foto Rb]
Norihiro Koizumi, FLOWERS. Giappone, 2010. Sceneggiatura di Shu Fujimoto e Yuiko Miura. Con Yu Aoi, Rioko Hirosue, Yukie Nakama, Kioka Suzuki, Yuko Takeuchi, Rena Tanaka
La condizione femminile è rappresentata attraverso la difficoltà della
scelta individuale rispetto alle decisioni della famiglia della prima decade
raffigurata, fino alla conduzione indipendente della gravidanza in assenza del
padre da parte della madre nel ventunesimo secolo.
La natura frattanto è presente di continuo come correlativo oggettivo con
le stagioni: memorabili soprattutto i
mandorli in fiore degli spezzoni in bianco e nero e i vestiti rosso scarlatto
sulla neve nelle parti attuali.
Le storie narrate si intrecciano vuoi perché appartengono a varie generazioni
della stessa famiglia, vuoi perché l’andamento cronologico è zigzagante:
apprendiamo alcuni dettagli degli anni Trenta, ma poi il racconto si sposta
negli anni Sessanta-Settanta e nel presente, per intercalarsi di nuovo a varie
riprese, sicché la diacronia degli avvenimenti viene ricostruita solo
gradualmente con un’opera di collaborazione a mosaico da parte dello spettatore.
Si tratta, immaginiamo, oltre che di una scelta estetica, di una maniera di indicare,
pur nelle rotture tra i comportamenti familiari dei diversi periodi esaminati,
anche una continuità funzionale: un eterno umano, insomma, accompagnato da un
contingente storico e sociale.
Alla fine del
film, abbiamo le chiavi per comprendere cosa è successo nei frammenti
visualizzati, in cui si sono dipanate le storie di sei donne di tre
generazioni: Rin che nel 1933 si ribella inizialmente alla volontà del padre di
farla sposare con un uomo da lui scelto, ma accetta infine e ha un matrimonio
costruttivo; le figlie di lei Kaoru, Midori e Satu che scelgono i propri sposi
negli anni Sessanta e Settanta, pur andando verso diversi destini di gioia e
tristezza; infine le due sorelle dei nostri anni, Key e Kana, una sposata e l’altra
in attesa di un figlio da un fidanzato con cui si è lasciata.
È un film
intelligente, ben filmato e che rivaluta, accanto alla dignità e alla
rivendicazione del conflitto, anche la sua ricomposizione tramite il
compromesso, a volte, e in altri casi per mezzo del dialogo. Vengono messe in
rilievo la grazia e l’avvenenza femminile basate su modelli sobri. Vengono
apprezzate la modestia e la naturalezza. Si insiste sull’espressività del volto
e dei gesti e sulla semplice presenza nel mondo come destino esistenziale.
[Roberto Bertoni]