Tra le molte
pellicole cinesi uscite nel 2011 per commemorare l’anniversario dei novanta
anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, e al contempo il
centenario della rivoluzione del 1911 (sulla quale, in data 15-4-2012, abbiamo
recensito per “Carte” il film intitolato appunto 2011), Jiàn Dǎng Wěi Yè è un’opera
ben costruita, istruttiva, recitata con compostezza e in definitiva non vuotamente spettacolare ed esclusivamente propagandistica come qualche recensione
lascerebbe sospettare [1].
Come spesso
nella cinematogafia cinese, la ricostruzione storica, in termini di costumi e
ambienti, è accurata, il che trasporta in un mondo altro da quello
contemporaneo, eppure all’origine della modernità novecentesca, in cui le
scuole di pensiero confuciane si scontrano, se conservatrici, col nuovo di
impostazione repubblicana e indipendentista, a sacrificio simbolico anche delle
tradizioni del vestire e delle acconciature, mentre nel giro di soli dieci anni
di rivoluzione, dalla caduta della dinastia Qing alla fondazione del PCC,
infine soccombono pure le forme di confucianesimo più progressiste, sebbene il
cammino verso la marxistizzazione della Cina si sarebbe dovuto rivelare ancora
molto lungo e la proclamazione della Repubblica Popolare avrebbe dovuto
attendere fino al 1949.
I dibattiti
dell’epoca, sebbene dati per punti sommi, sono inseriti nelle interazioni tra
le storie personali dei protagonisti, tra cui compaiono Sun Yat-Sen, Zu Enlai,
Mao Zedong assieme a molti altri.
Chiari
emergono la volontà di cambiamento, l’insufficienza storica del vecchio regime, l’insoddisfazione
per gli accordi di Versailles dopo la prima guerra mondiale, il ruolo di
spartizione interimperialista, l’ascendente colonialista del Giappone, l'emergere del comunismo in alternativa ad altre ideologie, infine l’abilità dei fondatori nel
costruire un partito efficace e nell'ottenere il consenso
della Terza Internazionale.
La
recitazione mette in rilievo i lati umani di personaggi storici
così noti (per esempio il fidanzamento, poi matrimonio, tra Mao Zedong e Yang
Kaihui).
Si nota un'interazione tra dipinti e cinema
in scene quali quella del primo congresso, tenuto su una chiatta,
con la telecamera che in esterno riprende, come nelle tele cinesi, la barca tra
le brume del fiume in inquadrature di lunga durata e analitiche.
Le passioni,
gli amori, i timori, i pericoli, le folle indignate, impoverite, insorgenti,
gli eserciti e il clangore delle armi, le cospirazioni. Un’epica trattenuta prima di convertirsi, come fortunatamente non accade in questo film, in oleografia declamatoria.
Come nota
Chen Gang su “China Daily”, lo scopo dichiarato, nei confronti del pubblico
cinese, è quello di diffondere l’ideologia dominante, con procedimenti,
tuttavia, aggiornati ai tempi: la pellicola di successo commerciale e con attori
di grido e il meccanismo di umanizzazione dei personaggi che promuova
identificazione sul piano individuale [2].
NOTE
[1] Cfr., per esempio, J. Marsh, 23-6-2011. Più positiva la
recensione di A. Webster, “New York Times”, 24-6-2011.
[2] “From The Founding of a Republic (released in
2009) to Beginning of the Great Revival,
directors Han Sanping and Huang Jianxin have tried to restructure traditional
mainstream movies into a certain genre that uses the operational mode of
commercial blockbusters. Inherent dominant ideology, an all-star cast, and a
marketed operational mode in financing, filmmaking, distribution and publicity
are the three principal elements that define this genre. [...] BEGINNING OF THE
GREAT REVIVAL [...] integrates the cultural heritage and social values into the
plot and characters. Instead of transmitting the dominant ideology directly or
forcedly to the audience, it uses a ‘flexible expression’, which is subtly
hidden in the narration, to do so. It tries to restore the inner emotions of
historical figures, breaking the stereotype portrayal of the characters being ‘perfect’
in every respect. It avoids lending ugliness artificially to the negative
characters, too, and instead tries to open their complicated state of mind” (“China Daily”, 4-7-2011).
[Roberto Bertoni]