13/02/12

Iain M. Banks, THE PLAYER OF GAMES: A CULTURE NOVEL

Prima edizione 1988. Londra, Macmillan, 2007

“Culture”, il termine espresso nel sottotitolo di questo romanzo (e corrispondente a vari altri volumi su diverse sfaccettature dei mondi in cui essa entra in contatto), è la configurazione sociale di uno stato interplanetario, assai avanzato tecnologicamente, che ha abolito il denaro e nel quale gli esseri umani o umanoidi che vi abitano convivono con esseri cibernetici senzienti e dotati di personalità, tra i quali si contano i “droni”, preposti a varie funzioni e anche alcuni a proteggere la vita umana, e le navi spaziali in grado di pensare e calcolare. La comunità è interconnessa tramite meccanismi che consentono il contatto immediato in caso di pericolo e l’intervento. Il delitto è prevenuto dalla rimozione quasi totale dei motivi per commetterlo:

“There were no written laws, but almost no crime anyway. There was the occasional crime of passion […], but little else. It was difficult to get away with anything anyway, when everybody had a terminal, but there were very few motives left, too.
‘But if someone kills somebody else?’
[…] ‘They are slapped-droned’.
‘[…] What does this drone do?’
‘Follows you around and makes sure you never do it again’.
‘Is that all?’
‘What more do you want? Social death […]; you don’t get invited to too many parties’” (p. 225).

In parte, dunque, si tratta di un’utopia realizzata: lo Stato immaginato in questo lontano futuro da Banks ha dimensioni intergalattiche ed è il più tecnologicamente progredito dell’Universo. A tale livello non ci pare di poter individuare un corrispettivo nella realtà contemporanea; semmai una possibilità insita in una combinazione, suggerita anche dai nomi fantasiosi degli abitanti, composti da miscele che echeggiano varie lingue.

Un eclettismo che, nel sostrato mimetico del mondo in cui viviamo, proprio della fantascienza, è destinato in effetti a incrementarsi col contatto tra popolazioni e con la globalizzazione crescente del pianeta Terra come prevedono gli studi attuali sull’ibridazione. La società futura di Banks, tuttavia, contrariamente a quelle oggi esistenti, ha appreso dai propri errori e sembrerebbe dunque essersi messa in grado di autocorreggersi, mutando verso il meglio.

In questo volume della serie, alla configurazione utopica si contrappone un mondo distopico, autocratico e oscurantista: l’Impero di Azad, dominato da una dittatura e da sistemi polizieschi di controllo. Tale mondo è pericoloso, anche perché ha raggiunto un grado elevato di sviluppo che, dati i suoi presupposti politici, potrebbe condurre verso l'aggressione di altri paesi anziché in direzione di una savia neutralità. Si decide pertanto di provocare all’interno di questa entità un marasma politico che ne disgreghi le strutture.

Azad sembra, al contrario di “Culture”, corrispondere a mondi in parte esistenti: forse in qualche modo, sebbene mascherato, a certi paesi del mondo arabo, trasformati però da connotazioni aliene, poco compatibili con quel mondo e appartenenti piuttosto alla fantasia: tre sessi invece di due; fauna e flora periodicamente distrutte da un clima composto da un anello di fuoco che percorre un pianeta nel periodo di rotazione di uno dei suoi anni; e così via.

Sebbene in THE PLAYER OF GAMES ci siano elementi di critica sociale piuttosto chiari, la storia narrata resta discretamente avventurosa come nella fantascienza epica: meno, a ogni buon conto (e fortunatamente per il presente lettore), che in altri libri di Banks. In breve, abbiamo una narrazione fantasiosa e un romanzo d’azione fusi l’una nell’altro.

Il protagonista è Jernau Gurgeh, teorico e praticante di giochi di ogni tipo, inviato su Azad con l’obiettivo segreto (non noto nemmeno a Gurgeh) di destabilizzare il sistema politico; e con lo scopo dichiarato di coinvolgersi nel gioco il cui vincitore, in seguito al successo conseguito in varie riprese su vari pianeti con gare diverse e complicate e terreni di competizione vasti, conquista il potere diventando imperatore.

Il gioco, infatti, su Azad simula a tal punto la realtà da costituirne il fondamento. Interessante questo spunto, in base al quale “all reality is game” (p. 41) e il gioco viene recuperato a un senso antropologico totale, rivelandosi rito e mezzo di mantenimento dell’integrità della società: “as precise a model of life as it is possible to construct” (p. 76).

Come auspicabile, Gurgeh vince, al che sussegue un tentativo di eliminarlo da parte dell’imperatore uscente e unico degno avversario, ma un intervento della nave spaziale salva il protagonista e avvia una rivoluzione condotta da forze locali (come quelle che nel mondo odierno ispirano, va detto, le superpotenze). La rivolta infine distruggerà il regime azadiano e promuoverà una statualità più corrispondente a criteri culturiani.

Ulteriore motivo evidenziato nel romanzo è il rapporto tra esseri umani o umanoidi ed esseri cibernetici, che in “Culture”, come si accennava poco sopra, sono senzienti, abilitati ad agire secondo il proprio giudizio, autocontrollati. Sarà uno di questi avanzatissimi robot a spingere Jurgeh nell’avventura, fingendo di ricattarlo con la minaccia di rivelare che ha barato al gioco dopo avervelo sospinto, ma poi proteggendolo sotto mentite spoglie durante il soggiorno sui pianeti ostili. Solo alla fine sapremo che l’automa diabolico e quello angelico erano un’unica entità, che si finge l’autore in prima persona di questa narrativa.

Un libro piuttosto denso di meccanismi narrativi e di elementi di riflessione oltre che di intrattenimento.

[Roberto Bertoni]