05/12/11

Noam Chomsky, THE ESSENTIAL CHOMSKY

A cura di Anthony Arnove. Londra, Bodley Head, 2008

Il volume comprende saggi, pubblicati tra il 1959 e il 2006, che consentono di seguire il percorso di Chomsky in quanto rappresentante della categoria degli intellettuali impegnati la cui responsabilità, come si legge in THE RESPONSIBILITY OF INTELLECTUALS (1965), è “to speak the truth and to expose lies” (p. 40).

In sintonia con la concezione marxiana degli apparati ideologici in quanto rappresentazione sfalsata della visione del mondo dei ceti dominanti, per Chomsky la ricerca della verità è tesa a smascherare le autorappresentazioni e le menzogne del potere in quanto esse, oltre a costituire interessi di classe, distorcono e forniscono interpretazioni manchevoli (p. 40).

Chomsky si pone in polemica con quelli che gramscianamente potrebbero definirsi gli "intellettuali organici" all'establishement: gli esperti, i tecnici, i consulenti governativi, i quadri pensanti delle aziende, compresi alcuni docenti universitari, che contribuiscano a fomentare l’ideologia della “volontà di potere mascherata da idealismo” (secondo una formula di De Gaulle citata a p. 45).

Tale concetto viene ribadito in vari saggi, anche in quelli del ventunesimo secolo, partendo dal sostegno ideologico, concesso da raggruppamenti politici, potentati economici, individui e istituzioni anche culturali, alla posizione americana di invasione camuffata da difesa della libertà nella guerra del Vietnam degli anni Sessanta, per proseguire con l’interferenza degli USA negli affari interni di vari paesi dell’America Meridionale negli anni Settanta e Ottanta, fino ad arrivare all’ideologia della superpotenza economica e militare, secondo i parametri dell’idea che dà il titolo al saggio IMPERIAL GRAND STRATEGY (2003), nella geopolitica dei tempi di Bush, presentata dall'entourage del Presidente degli Stati Uniti come esclusiva difesa della democrazia nonostante la strategia di conquista e dominio sui mercati.

Se l’imperialismo è uno dei temi, accompagnato dal disvelamento della malafede, a esso si accompagna la deprecazione delle cosiddette “guerre preventive”, come nel caso dell’Iraq, che a parere di Chomsky “fall within the category of war crimes” (p. 374); o della “guerra umanitaria” se questa, come nel caso dell’intervento della NATO contro la Serbia del 1999, promuove, qui viene citato Mandela, “international chaos [...] by ignoring other nations and playing ‘policeman of the world’” (p. 383).

Chomsky sottolinea il blocco della democrazia in contesti sociali, politici ed economici negativi: "democracy [...] is severely limited when the industrial system is controlled by any form of autocratic elite, whether of owners, managers, and technocrats, a ‘vanguard’ party, or a state bureaucracy” (NOTES ON ANARCHISM, 1970, p.101).

In positivo, la democrazia, intesa come movimento dal basso dei cittadini per il controllo delle istituzioni e l’intervento nell’azione collettiva e sociale, è un’altra tessera del mosaico della nozione chomskyana di impegno. È proprio questo l’appello di AFTERWORD TO FAILED STATES (2006), con cui si conclude la raccolta:

“Rights are not likely to be granted by benevolent authorities, or won by intermittent actions. [...] The tasks require dedicated day-by-day engagement to create – in part re-create – the basis for a functioning democratic culture in which the public plays some role in determining policies, not only in the political arena, from which it is largely excluded, but also in the crucial economic arena, from which it is excluded in principle” (p. 413).

Pensatore coerente e in prima fila in tutti questi decenni, risulta tuttora beneficamente scomodo non solo per la non deroga ai principi di cui sopra, ma anche nella difesa illuministica del diritto di parola per avversari che la pensino in modo completamente diverso dal suo.

[Roberto Bertoni]