101.
amo il mare con la saliva dentro
come un soqquadro d’ernia un rimando
alla culla sottosopra. un ladruncolo
del borgo gode la rendita del pasto
questo storpiare con le mani dentro
il dado di maretta senza il sodale
editto delle stoppie che se ne vanno.
tu attènuati in un morso di cantina
dove bambina si stempera la ronda
la contumacia in bilico. ricordati di me
che fui la sola monacale essenza della corda.
abbi di me pietà e libertà insieme
dove s’incastra la capienza d’ansia
e la povertà diviene una basilica.
102.
l’odore di cucina è voglia di culla
di ricami sul lenzuolino
della ricamatrice rara per la madonna
e l’altamoda. in data di stupro furono vincolati
l’anemone di mare e la ginestra rossa.
io non oso spalleggiare la seppia
con inchiostro simpatico indelebile
frusta sulle cose cucciole. si sa che la bile
del crocicchio ricreda le fiaccole più belle
le donne nude che si screpolano di creta.
in mare sono resine di scogli
dove si abbrevia il grido delle rondini.
103.
tutto il resto è impronta per dissolvere
le nuvole
per indispettire le regole del volo
e la canoa che salta la rapida
oltre le lapidi di marmo di chi resta
strattone alla finestra di resistere.
si è uccisa la strada nella curva
la canotta dell’operaio si schizza
del valore del sangue del magnete
lacrimoso. in tutta la scorreria della
finanza parla questo eccesso di boia
questa manomessa libertà di sasso.
104.
soldato di alamaro la tua fretta
di startene vivo solamente
al bandolo del treno che sfreccia
indifferente. l’eresia del fango
seduce la mia giacca calcata a frotta
di spora di sposa. oggi non vengo
a ridirti il fato dell’urna cineraria.
seppellire la voce è un vaniloquio
terribile. una ferrata storia senza
arcobaleno. qui soffro la fattoria
della rimembranza, la perdita d’effetto
d’ogni bravura in darsena di rispetto.
in pasta alla ventura dell’esilio
sta la catastrofe dello status quo
la venia di vestirti da bambina.
un’accademia di fato voglio ergere
dove si cheti l’ottusità del vento
nella raminga favola del santo.
105.
in un cuore di crocevia ho visto l’alba
un crocicchio di bare dove la via
è insulsa. a salutare i morti sembra la ronda
immemore, in un brancolìo di curva torna spesso
il mare. la poca scorta di cadere in acqua
con l’avallo del remo.
il covo di dio è una musa di pianto
una premessa di piangere a lungo
senza la giara di scovare l’anima
o la dinastia del pessimo superstite.
qui non trovo le resine dell’ombra
per consolare il casolare abbandonato.
106.
prima di andare a letto si fa catino
il dì per raccogliere il sangue di
resistenza. il crepacuore che fa di sasso
la nuca. questa bilancia cattiva che dondola
senza mai fermarsi. è una beffa di rigagnoli
contusi verso il sillabario che non parla
né detta le parole. qui si concretizzano
le spine che marcano la rosa in un clamore
di sterpi. dal dettato delle guardiole
che non salvano nessuno sto a zonzo
per il cortile caricato a noia. la riforma
dell’ossario non ha prescritto anime
né giochi di chiodi trasformati in ciliegie.
oggi l’effimero è un giocattolo di sfarzo
una riunione che tempera focacce
di resistenza.
107.
vorrò morire per piangere di meno
la coincidenza del baratro e l’asfalto
fatali traditori. mangiare le leccornìe
della vendemmia per dire le carreggiate
delle sfingi o le frottole del gelo.
già l’ernia della voce è sotto choc
per un tramestio di venti senza spore
né baci da lontano più che improvvisi.
ora vorrò stringere percorsi
per conciliare la resa con la staffetta
con la fretta di schiacciare le lumache
così per cattiveria. il cane piange
l’avaria d’affetto questo trambusto
osceno della foce senza fiume.
in corso alla scempiaggine dell’orto
si mangiano le rime poverette le zie
idiote della poesia. il tempo della perdita
è già tutto in croce, trafitto sul codice
dell’ombra. baraccopoli di sterpi sto
ad aspettarti all’angolo di piangere in gola.
108.
il lutto scintilla sotto l’abaco
qui la luce è turbinio di vento
zero di corsa non trovare l’indice
né il senso di varare il pianto.
contaminati stati viltà d’origine
questa mansueta cialda della ruggine
in zona di soqquadro. dimmi la calura
della fiocina in stato di grazia
quando nessuno sta in salvo
e la rotta si barbica sconfitta.
il dettato della pioggia sarà morire
d’occaso nel sonno che non rimanda
a niente. ora non serve valicar le stelle
verso le vergini delle fosse e del capriccio
il guado sul gentile enigma del cielo
che si offusca castigato orizzonte di
nonnulla.
109.
frutto di bisaccia questa meraviglia
darsena al diamante. vorrò cancelli
d’anime vaganti dove la lacustre erta
svicoli il mattino. acredine combusta
la malattia dell’aria. dove sei intoppo
di rugiada? in mano alla rovina
del pagliaccio resta la gioventù
del pane la nenia di voltarsi indietro
come per sempre un’avaria. la legge
del miracolo s’incaglia nella caverna d’ascia.
nulla s’impara in un vicolo di schianto,
il sogno di un occaso si fa vivida maceria
quasi l’asilo di una tasca in tasca.
vestiario delle nuvole saperti
indovino di stile per carezze di stagno.
110.
il dossier del mare ulula l’enigma
la strada chiusa mattanza
dentro la solitudine del bavero.
così si dice che l’occaso penetri
le cicale ottimistiche di luce
dove il coma è calar la fronte
nel lato senza eremo del baratro.
[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010, 17-12-2010, 19-1-2011, 21-3-2011, 7-4-2011, 21-5-2011, 3-6-2011, 11-8-2011, 5-9-2011, 11-11-2011]