21/09/11

파트너 (Patunò), PARTNER


[Bongeunsa: Temple guardian (Seoul 2011). Foto di Marzia Poerio]


파트너 (Patunò), PARTNER. Sceneggiato televisivo. Corea del Sud, 2009. Regia di Hwang Ua-kyong e Kim Uón-sòk. Sceneggiatura di Jo Jòng-jù e Yu Mi-Kyòng. Con Choi Su-rin, I Dong-uk, I Jong-il, I Ha-nuì, I Won-Jong, Kim Yòn-ju, Pak Yong-je, Shin-I, Song Je-Ho.

Con un cast come questo, di attori noti e abili, sebbene talora utilizzati in modo stereotipato, ma si direbbe solo a fini di commedia, mentre i ruoli drammatici hanno la necessaria flessibilità, la scena è spesso occupata da gesti e pronunce valide e ben impostate. Noi siamo ammiratori in particolare di 김현주 (Kim Yòn-ju) per la capacità di esprimere vitalità, misura, emotività e naturalezza, oltre a possedere tratti accattivanti del viso e proporre l’interpretazione per lo più di eroine non retoriche capaci di coraggio civile volto a sventare complotti di corrotti e di difendere i valori del perdono e dell’autenticità sul piano della vita personale.

In parte qui abbiamo il plot a episodi di due equipe rivali di avvocati, dedita una più al guadagno e difendere i potenti che alla giustizia, e l’altra invece a occuparsi dei deboli e dei valori positivi. Lo sceneggiato da tribunale ha in questo senso, simile a quelli statunitensi, il suo svolgimento riambientato e ricostruito anche intellettualmente ed emotivamente in ambienti e in ambiti sociopsicologici coreani.

Quella che all’inizio è la storia di cornice, ma che man mano diviene l’asse narrativo principale è un intreccio di corruzione e collusione col potere dei conglomerati economici delle grandi imprese coreane (chaebol), qui rappresentate da un’immaginaria ditta che non esita a uccidere e a ricorrere ad altre forme di violenza e a cavillose astuzie per coprire le proprie malefatte, ovvero l’inquinamento di una zona rurale con materiali che provocano la morte dei residenti ignari dei fatti reali che vengono poco per volta mesi in rilievo da avvocati coraggiosi, uno dei quali è la protagonista, l’altro un rappresentante della famiglia dei potenti che rinega il proprio ruolo e si batte per scardinare menzogne e malefatte, pagando di persona.

La giustizia, dopo vicende contorte, trionfa alla sedicesima e ultima puntata. Ora, anni fa una teoria critica sosteneva che affermare i valori ideali non faceva che rafforzare il dominio delle ideologie dominanti perché dimostrava che la giustizia ufficiale è in grado di punire chi opera negativamente, mentre ciò non sarebbe vero nella realtà. Noi discordiamo da questa teoria e dai machiavellismi. Riteniamo che le idealità espresse abbiano un effetto positivo. In questo sceneggiato, inoltre, oltre all’azione coraggiosa degli avvocati buoni contro i malvagi in doppio petto ma con le mani sporche di sangue, si ha una mobilitazione della popolazione, cioè un’epica tutta di sinistra, che potrà magari stupire, ma trova la popolazione dapprima vittima delle macchinazioni dei malvagi, poi cosciente e orientata a smontare il malfatto. Quindi l’ottica è progressista.

I valori sono quelli del recupero fin che ciò sia credibile e possibile e di non prendere per scontate le punizioni e le illazioni difendendo i deboli.

I comportamenti negativi vengono, diremmo buddhisticamente, spiegati come risultato del dolore individuale, familiare e sociale dei protagonisti, sebbene ciò non significhi esimere i colpevoli dalle loro pesanti responsabilità.

Più stereotipato, secondo le formule che abbiamo riscontrato in varie serie coreane, è il conflitto tra familiari, l’innamoramento di potenziali nemici (Giulietta e Romeo…, del resto citati), le difficoltà che si frappongono tra amore autentico e interferenze familiari nella formazione delle coppie.

Beh. Ci è piaciuto. Ma si sa, noi siamo anime semplici.


[Renato Persòli]