11/08/11

Marina Pizzi, VIGILIA DI SORPASSO, 2009-2010 [71-80]


[Far at a distance wasn't the tide merging with the sky? Foto di Marzia Poerio]


71.

il crollo della mattina
è già occaso
salso sorso senza sosta.
rotocalco di fandonie
dolore stanco
faccenda di bivacco
per atleta monco.
stanza pavida d’avvento
recinto di mattanza.
il crollo del sole vasto
dove è domenica per scuocere
nemica la fidanza dello sguardo.
diadema d’incendio quella malia
creduta dalla sfinge della madre
ai giardinetti quando i fiori c’erano.
orgia d’occaso la nenia di vendetta
i lunedì infiniti di chi resta
staffetta senza un altro abbecedario.


72.

il sale chiuso l’era di melma
la tragedia della scala
la rotta d’intercedere per niente.
autore di periglio la risacca
accantonata a talamo di morte.
chiuso addendo elemosina di scempio
questo cipresso reo di se stesso
passato per le armi appena sùbito.
moria t’inventi uno scalo d’aquila.


73.

l’appello sulla fronte si fa zero
appena la cornucopia d’iride
pianga la nuda carica dell’anno.


74.

il porto di me è lastricato di boia
stato di paglia ilarità di fango;
era di Apollo il tuo fardello
quando ti conobbi apolide.
ora non gemma la faccenda del lutto
tutto s’incrocia in Geremia di malta
atta alle lapidi. così da sùbito ti dirò
che piango come i gemelli in simultanea.
la riva è chiusa e la scalea si mozza
per impedire un vaglio alla staffetta
che non capisce albori né ginestre.


75.

alamaro di pietà voglio aggiungerti
alla gioia delle rondini di ancora
ancora e ancora un altro strido
verso la cialda del dominio darsena.
alamaro di pietà voglio la cintola
gravata dalle chiavi che non aprono
dalla marea congiunta con il cielo.
smorì la stoppia che arringa le cicale
più a nulla servì la contumacia
né la riviera con le ville a picco.


76.

intorno a povere eclissi
l’illusa faccenda di tornare
da rantoli d’occhi morenti.
zona di arringa il cuore palpitante
quando si creda di vincere la gara
con la palude d’ascia.
in palio all’asilo del dubbio il bilico
dell’incrocio più unico che raro
quando s’interrano l’orco e la bevanda.
è la moria del codice guasto
qui non entrare in balìa del panico
ma d’olio d’orcio correre via
dacché nessuna salvezza fa vezzo
al lucido liso pastrano d’origine.


77.

ho voglia di starmene in declino
con le persiane chiuse in far di lutto
senza le luci delle giostre antiche
giù nel cortile proletario. è un tarlo
statico che mi conferma nulla
nonostante la bestemmia del ritiro
sia la guerra della fanga panica.
il roveto sulla spalla è qui gestire
questo simulacro di veleno
che gela le ossa e mordacchia il suolo.
e per domani lo stesso giro in rotta
quando le mani litigano nei pugni
snodate marionette senza fili.


78.

in una sala di collasso ho visto l’indice
della marea conchiusa in un anello
quando la ciotola resta un gran Vesuvio
e le stimmate non giovano la darsena.
così in armonia con le vestali
la scuola elementare in mezzo al bosco
dove l’impatto è solco di sorriso.
in te che cerchi il round di riprenderti
tutta calunnia il fato della stirpe.
da domani il trovatello è l’angelo
che cerchi di far mestiere la caduta.


79.

gerundio di cometa lo sguardo amato
da dentro il visibilio della polvere
al parco delle rondini liberte.
in meno di uno scriba l’abitudine
di mettere soqquadro nella sillaba
per rendere avvenente un pugno d’aquile.
realtà di terra lo splendore d’ascia
quando il netturbino della mia salute
testimonia le valanghe delle chele.
in tutto disappunto voglio andarmene
maretta della costa senza scoglio
innesto dentro l’asma della cella.
svolazzo intramontabile vederti
ora del cielo che conosce l’abaco
e la bacchetta del comando magico.


80.

in realtà ho un apice di morte
impostato nel polso. le credenziali
del saluto se la ridono di cuore.
nulla basta a preferire la demenza
del sacrario, la rotta panica di non
saper guardare né darsene né emisferi.
nel sudario che riveste la sagoma
tutta la gamma del colore stinge
in un bianco beffardo, dado tratto
dall’ossequio del coma. in mano
alla resina del fulcro non sono signora
ma acredine e viltà formano la bara
della rovistata aureola impotente.
la bussola del cranio è un io di credo
senza cuore né balsamo di angelo.
così morrò lapidato d’ansia
con la pelle delle palpebre datate.


[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010, 17-12-2010, 19-1-2011, 21-3-2011, 7-4-2011, 21-5-2011, 3-6-2011]