19/06/11

RELIGION AND SOCIETY IN CONTEMPORARY KOREA, a cura di Richard K. Payne e Karen M. Andrews


[Shamanic totems (Seoul 2010). Foto di Marzia Poerio]

RELIGION AND SOCIETY IN CONTEMPORARY KOREA, a cura di Richard K. Payne e Karen M. Andrews, Berkeley, Institute of East Asian Studies, University of California, 1997

Tra i molti e tutti interessanti capitoli di questo volume, che fa il punto sulla situazione di pluralismo religioso della Corea, soprattutto sulle religioni cristiana, buddhista e confuciana che, come osserva Yoon Yee-heum nel suo contributo, THE CONTEMPORARY RELIGIOUS SITUATION IN KOREA, sono diffuse tutte e tre e nessuna pare prevalere (p. 1), se ne scelgono qui tre, per brevità necessaria di questo post e per curiosità più personale che per motivazioni di altro tipo: Choi Chungmò, HEGEMONY AND SHAMANISM: THE STATE, THE ELITE, AND SHAMANS IN CONTEMPORARY KOREA; John Duncan, CONFUCIAN SOCIAL VALUES IN CONTEMPORARY SOUTH KOREA; e Shim Jae-ryong, BUDDHIST RESPONSES TO THE MODERN TRANSFORMATION OF SOCIETY IN KOREA.

L’analisi dello sciamanesimo di Choi si prospetta particolarmente stimolante per un lettore italiano, dato l’utilizzo di categorie gramsciane. Riscontrando l’esistenza di pratiche sciamaniche come componente religiosa perdurante nella modernità, ma esistente in Corea fin dalla preistoria, viene evidenziato l’uso ideologico dello sciamanesimo da parte delle giunte militari del periodo della dittatura successiva al 1961, intese a dominare tramite il consenso, gramscianamente.

Un aspetto dell’egemonia, fondato su quello che Geerz indica come importante sentimento di simbolizzazione dell’elemento primordiale nelle società in corso di modernizzazione, è stato in Corea proprio lo sciamanesimo, inteso come un aspetto delle proprietà culturali, o immateriali, della nazione, sancite da una legge del 1962 e usate come una maniera di rivolgersi alle classi popolari, soprattutto a quelle rurali ed ottenerne il sostegno rivitalizzandone le tradizioni.

Nondimeno, nei confronti dello sciamanesimo gli atteggiamenti dello stato durante la dittatura variarono e furono caratterizzati anche da contraddizioni, in quanto venivano soppresse le pratiche superstiziose mentre si incoraggiavano le ascendenze culturali:

“Under these circumstances, shamans in Korea faced two opposing forces: the government's promotion of shamanic rituals as Important Intangible Cultural Properties and, simultaneously, the suppression of shamanic healing practices. While some shamans were honored as Human Cultural Treasures and became superstar shaman artists, the lesser-known neighborhood shamans were frequently harassed by the police” (pp. 26-27).

Si ha così, secondo Choi, la trasformazione della tradizione sciamanica, con distruzione del suo significato originario e la sua ristrutturazione mercificata e modernizzata.

A partire dagli anni Ottanta, invece, dello sciamanesimo si riappropriarono i gruppi progressisti e utopisti. Un esempio di questa neo-tradizione è il “madang-guk”, una forma di teatro di protesta che congiunge i rituali sciamanici col teatro popolare. La figura dello sciamano viene a rappresentare un tramite tra il popolo e l’aspirazione al cambiamento:

“Revolutionaries employ shamanism as a cultural frame for their reform movement. The shaman's lowly social status is compared with that of oppressed people. The shaman, however, has overcome the physical and spiritual trauma caused by spirit possession and social segregation. Through this very suffering, a shaman has developed sympathy and insights into the lives of oppressed people. Furthermore, a shaman brings the problems of individuals to the attention of community members. During rituals, shamans mediate and eliminate the distance between humans and gods and between individuals and their alienated neighbors. In the revolutionary mind, the shaman is at once a symbol of oppressed people and a savior” (p. 34).

Quanto al capitolo di Duncan, si misura col confucianesimo, uno dei sistemi ideologici che più hanno influito sulla Corea contemporanea e che viene costantemente citato per spiegare, non solo in Corea, ma anche in altri paesi orientali, soprattutto in Cina, alcuni aspetti dello sviluppo. Duncan nota l’interesse confuciano per l’istruzione, il trasferimento di tale valore dall’aristocrazia coreana preindustriale sulle classi medie sudcoreane dello sviluppo, con applicazione all’apprendimento di nuove tecnologie occidentali, ma non solo. Al contempo parevano sopravvivere, ancora negli anni Novanta, i valori confuciani dei rapporti familiari e della dedizione filiale, come pure la lealtà e la dedizione al lavoro.

Si assisteva al contempo a una trasformazione del confucianesimo in modo tale che potesse adattarsi alla modernizzazione:

“The personal virtues of sincerity (sŏngŭi), humility (kyŏmson), frugality (kŏmso), and self-restraint (chaje) are still upheld by some individuals, but these values are better suited to the rural scholar than to the urban businessman, and they, too, seem to be increasingly ignored as South Korean society heads down the path of commercialization and conspicuous consumption. These trends seem to suggest that as a general rule Confucian values have survived where they have been compatible with the needs of modernization and have declined where they are not” (p. 50).

Non potevano più sussistere determinati valori in una società in cui si sono modificati aspetti intrinseci di portata ideologicamente ampia come l’emancipazione femminile ed estrinseci quali il codice di vestiario. Nondimeno, l’autore di questo capitolo nota la sopravvivenza dell’etica sociale e familiare confuciana negli anni Novanta e la ascrive vuoi allo scarto culturale, per cui certi elementi si evolvono tramite sradicamento e altri tramite adattamento, vuoi al rapporto tra stato e confucianesimo, al fatto cioè che l’ottica confuciana, soprattutto il senso della gerarchia, venne utilizzata come strumento politico non troppo difforme dalla “long tradition of official inculcation of Confucian values for political purposes” della Corea anche premoderna (p. 53).

Infine il capitolo di Shim sul budddhismo nella modernità dimostra come anche in Corea questa religione si sia rivelata flessibile, capace di adattamenti, manifestandosi come categoria di valori pratiche appartenenti a una mentalità riemergente sotto forma di altruismo e di Buddhismo della liberazione (minjung pulgyo), diffusa anche, sull’onda dell’influsso del Cristianesimo e del liberalismo politico, tra i ceti intellettuali:

“Educated intellectuals and radical activists see that society is undergoing large-scale industrialization. They are trying to revive the Buddhist consciousness, which aims to eradicate human suffering. Partly motivated by competition with Christianity, which follows Latin American liberation theology, and partly energized by the traditional Mahāyāna bodhisattva spirit of helping and saving all beings, there has arisen among the educated class a renewed interest in Buddhist philosophy and Sŏn meditation” (pp. 82-83).

Secondo Yoon, al momento in cui questo volume fu scritto, negli anni Novanta, “Confucianism remains the most pervasive of the traditions, but we can hardly say that it represents contemporary Korean culture. The nation is at the moment caught in a chaos of conflicting values. This chaos has occurred in the process of Western culture, including Christianity, being transplanted into Korea. The situation is made more intense by the decline of the Confucian worldview” (p. 14).

[Aurelio Devanagari]