13/07/10

Zhang Yimou, LA STRADA VERSO CASA


[Couples walking under the red lanterns (Soho, 2010). Foto di Marzia Poerio]


WǑDE FÙQĪN MǓQĪN (LA STRADA VERSO CASA), tratto da un romanzo di Bao Shi (che è anche lo sceneggiatore di TIĀN LÓNG BĀ BÙ, recensito su questo stesso numero di "Carte allineate"), è uno dei film migliori di Zhang Yimou e a nostra scelta uno dei film che si collocano con importanza nella storia del cinema d'autore.

È un film sul radicamento nel luogo e nella comunità, pertanto si pone in contrasto con le tendenza alla dispersione e al nomadismo dell’epoca contemporanea. È sull’ostinazione e sul senso che una presenza quotidiana tra gli altri e un lavoro svolto con dedizione, inteso più alla cura della comunità che al rafforzamento dell’io, dà alla vita; e anche in questo senso si contrappone alla società liquida, per dirla alla Bauman, che disperde i valori del dovere e della responsabilità e li fa erroneamente apparire concetti superati, finanche stolidi. Infine, e sul piano narrativo è quanto emerge in primo piano, è su un amore delicato e duraturo, fedele, granitico; per questo commuove e suscita nostalgia, ammirazione, senso di perdita. La cornice è la vita rurale, un ambiente in cui la comunità umana si dispone nella bellezza del paesaggio e nella durezza della quotidianità. I protagonisti attraversano la storia cinese contemporanea, rappresentata dal presente (la pellicola uscì nel 1999) in contrasto con le tracorse difficoltà della rivoluzione culturale. Il film rivaluta la memoria come l’organo che consente non solo di gettare un ponte tra il passato e il presente, ma ciò che illumina una condizione irripetibile: la gioventù, l’innamoramento, la vitalità e l’entusiasmo, gli ideali; elementi marcati dal contrasto tra le scene iniziali e conclusive in bianco e nero e la rimemorazione a colori (contraddicendo anche la convenzione filmica di rivivere il passato e il sogno nel bianco e nero e la realtà attuale a colori).

Il film si apre con una morte, anche per questo in bianco e nero, e nella neve, schiudendosi poi al viaggio a ritroso in panorami primaverili e solatii alternati di nuovo alla neve e al gelo. Changyu, il maestro del villaggio di Sanhetun (realmente esistente, nella provincia di Jilin, a nord del confine tra Cina e Corea, a sud di Changchun, a est di Shenyang), isolato tra colline disabitate, muore. Yusheng, il figlio andato a lavorare in città, torna pertanto al paese, dove la madre, Zhao Di, è decisa a seguire un rito antico: riportare dall’ospedale piuttosto distante in cui si trova la salma, a spalla e a piedi, suo marito Changyu perché in tal modo il suo spirito non perda l’orientamento della strada verso casa. Ciò non è facile, perché al paese sono restati solo anziani, ma la madre non demorde, respinge l’idea di trasportarlo su un trattore e inizia a tessere, a un telaio a mano, l’unico rimasto nel villaggio, un panno per coprire il marito. Il figlio intanto ricorda la storia di suo padre e sua madre che lo spettatore vede e alla quale partecipa. Una storia semplice: Changyu era andato a lavorare nel paese con funzioni di maestro, ma era stato richiamato in città dopo che la madre e il padre si erano innamorati, e lì trattenuto per critiche di tipo ideologico, inasprite da una fuga per visitare la fidanzata. Solo due anni dopo, i due riescono a rivedersi e a sposarsi e il padre sarà fino alla morte il maestro del paese, rispettato e amato dalle scolaresche e dai compaesani, al punto che alla fine saranno proprio quei giovani cui aveva insegnato, emigrati verso i centri urbani, ad apparire mentre, trovati dei portatori che rifiutano ogni compenso, il corpo è condotto a piedi, tra una tempesta di neve, alla sepoltura. Il film si chiude con la realizzazione di un desiderio di Changyu che Yusheng insegnasse nella scuola di Sanhetun; il figlio pertanto impartisce ai bambini del paese una lezione.

Rispetto per chi ha lasciato una traccia umana. Reverenza non cieca, ma vissuta come parte di un sistema di pensiero e del sentire e di riti antichi. Il villaggio è povero, in condizioni di manutenzione che lasciano a desiderare, ma la vita vi è possibile, senza retorica e con continuità, perché la gente crede ancora in qualcosa che eccede il materialismo.

Ciò che accade è semplice, ma ogni scena, ogni episodio sono pensati, meditati, levigati per conferire umanità al testo. L’episodio dei ravioli ai funghi, che detto così sembra piuttosto prosaico, è un momento simbolico in cui la cultura materiale e l’offerta si incontrano sotto l’egida del corteggiamento. I due giovani si sono appena rivelati l’uno all’altra con riservatezza e senza parlare apertamente. Zhao Di ha invitato il maestro a mangiare dei ravioli ai funghi che prepara a vapore sul fornello di casa, ma è proprio quello il pomeriggio in cui Changyu viene convocato dal partito ed è costretto a partire immediatamente, come riesce a comunicare alla ragazza, senza peraltro essere in grado di fermarsi a cena, dovendo seguire il funzionario che lo scorta verso la città su un carro a cavalli. Lei segue il carro di corsa coi ravioli in una terrina, che alla fine nella frenesia cade e si rompe, col che perde anche un fermaglio che Changyu le aveva regalato, il pegno, l’unico regalo ricevuto e lo cerca in una natura boschiva ingiallita dal primo autunno, senza parlare, senza piangere, con la telecamera che passa dal macrocosmo al microcosmo, inquadrando ora la natura circostante, ora la ragazza, ora il carro che si allontana. Il fermaglio viene ritrovato solo dopo diversi giorni in cui Zhao Di ripercorre ogni tragitto su cui lo ha perso. La madre della giovane, consapevole del valore simbolico della terrina, la fa riparare e il procedimento viene ripreso nei dettagli dalla telecamera. È una sequenza che riempie il vuoto dell’esistenza con la drammaticità del destino, i sentimenti della cura e della distanza, i riti del pegno, i simboli della mala sorte (i cocci della terrina, il fermaglio smarrito). La musica romanticizza. Come se si stesse assistendo alla scena di un’opera lirica, o di una pièce teatrale ridotte ai minimi termini quanto a gesti e ambientazione, con la simbolicità che rimbalza sulla naturalezza.

Volto verso il passato spesso Zhang Ymou; e questo è stato il film che rivelò al pubblico internazionale la ventenne Zhang Ziyi, destinata a diventare una delle maggiori attrici non solo cinesi. Ben noto anche il protagonista maschile, Sun Hongley.


[Renato Persòli]