Titolo in inglese DEMI-GODS AND SEMI-DEVILS, serie televisiva cinese in 40 episodi, 2003; basata sul romanzo omonimo di Jin Yong (1963); regia di Zhang Jizhong. Con Hu Jun, Gao Hu, Jimmy Lin, Xiu Qing, Liu Yifei, Liu Tao, Chen Hao, Tong Chun-chung, Shu Chang, Christy Chung.
Restiamo anche questo mese su una serie del genere Wuxià, tanto fertile di inventiva favolistica, di spettacolarità nei costumi e nelle abilità fisiche e di storicità fantastica.
Il periodo storico è quello della dinastia Song e della rivalità con lo stato di Liao.
Gli eventi si concatenano secondo gli schemi del destino e ruotano attorno a tre personaggi principali.
Un evento improvvido determina una vita: assalito da un gruppo di Han per una falsa informazione che lo riteneva una spia, un kitano vede uccisa la moglie, si toglie la vita, lasciando il figlioletto Qiao Feng alla setta dei mendicanti che lo ha aggredito, Qiao Feng viene allevato nell’ignoranza delle proprie origini e, dotato di capacità straordinarie nelle arti marziali, assurge al posto di leader della setta trent’anni dopo fino al giorno decisivo in cui, scoperta la propria provenienza, è costretto a dimettersi e il destino lo fa entrare in contatto con l’imperatore dei Liao, che lo nomina re; riuscirà però a non combattere contro gli Han, anzi a sventare la guerra che distruggerebbe entrambi, ma paga col suicidio la propria impresa. Il suo fato amoroso è triste: uccide la propria amante che si getta su di lui per evitare che Qiao Feng uccida suo padre col quale sta duellando senza essere cosciente che si tratta del genitore della fidanzata.
Duan Yu è il più giovane dei discendenti della famiglia Duan del regno di Dali. Educato alle arti e al galateo, apprende, spinto dal fato in una grotta dedicata ad una dea, le arti marziali dell’agilità e della velocità che adopera senza arrecare la morte agli altri. Si innamora perdutamente della principessa Wang, cugina di un campione di arti marziali pari a Qiao Feng, che cerca di riconquistare il proprio regno perduto e ricorre a ogni mezzo per farlo. Wang alla fine capirà che l’amore che prova per quest’uomo non è ricambiato e sceglierà Yu. Yun Ru impazzirà dopo avere perpetrato omicidi efferati, tra cui le quattro amanti del padre di Yu, sempre per il mito di ricostituire il suo regno.
Sodale di Qiao Feng e Duan Yu per un patto di sangue siglato, che li rende fratelli, è il monaco Shaolin Xuzhu, il quale vince, per salvare una situazione che sarebbe degenerata in violenza, e per caso, una partita a scacchi in seguito alla quale, introdotto da Maestro che l’ha creata, viene spodestato magicamente di quanto ha appreso di arti marziali nel Monastero Shaolin e gli è infusa una nuova abilità che userà sempre a fin di bene, evitando di portare a compimento la vendetta e le uccisioni che il suo nuovo istruttore vorrebbe istigare in lui. Riincontra per caso una principessa di cui era innamorato e la sposa.
Le vicende sono in realtà molto più complesse, come è proprio di questo genere epico di nuovo stampo. In TIĀN LÓNG BĀ BÙ, forse, sono anche più numerose e intricate che in altre opere. Breve e manchevole, dunque, il resoconto di cui sopra abbiamo indicato alcuni aspetti, puntando sul caso e sul destino, perché questi sono alcuni dei temi principali, allegorizzati tra l’altro dalla scacchiera. Ogni personaggio compie un percorso che lo conduce verso la positività o negatività del destino.
Secondo le convinzioni buddhiste, i personaggi sono presi nel mondo del samsara e spinti ad agire dalla forza del karma. Alcuni deviano dalla retta via, come uno dei monaci, divenuto formidabile guerriero, che è stato spinto dall’egoismo e dall’individualismo, ma solo quando viene disabilitato da un avversario, torna allo stato inerme e si ravvede. Anche i padri di Qiao Feng e Duan Yu, dopo essere stati nemici mortali tutta la vita, vengono uccisi da un monaco Shaolin e resuscitati dal medesimo, ravvedendosi e trasformando ciascuno il nemico in alleato.
La magia ha un peso notevole e il chi qung, o energia che circola nell’universo e all’interno degli esseri umani, sembrerebbe ciò che si utilizza per compiere i riti. La manipolazione dell’energia e l’acquisizione di poteri sono del resto parte della tradizione non solo popolare ma anche spirituale. Il concetto è quello di siddhi, o “poteri meravigliosi”, ben espresso tra gli altri, da Mircea Eliade [1]. Siddhi letteralmente significa “potere” o “perfezione”; e indica le abilità magiche previste nella fase più avanzata della pratica dello yoga da Patanjali nell’ultima parte del suo trattato e simili abilità che si trasmisero dallo yoga anche al buddhismo soprattutto tantrico: “Si tratta di poteri occulti, miracolosi e magici capaci di alterare la realtà ordinaria e che lo yogi usa per il beneficio degli esseri senzienti e non per fini egoistici. […] Si tratta di poteri come quello di volare nel cielo, viaggiare in universi lontani in pochi secondi, leggere la mente altrui, predire il futuro, irradiare luce dal corpo, stare alla luce del sole senza produrre ombra, sciogliere la neve col calore del corpo in condizioni di freddo estremamente rigido ed altri cosiddetti miracoli” [2].
Gli effetti speciali partono da questi elementi; e mentre si assiste a un intrattenimento di buona qualità, c’è in parte anche nella resa televisiva una tendenza educativa e di elevazione morale, sotterranea, si direbbe, tra il prevalere delle avventure, delle acrobazie, della commozione per le vicende umane, dell’imporsi delle ricostruzioni d'epoca e dei colori.
NOTE
[1] LO YOGA: IMMORTALITÁ E LIBERTÁ (1954), Milano, Rizzoli, 2005, pp. 172-74.
[2] Dharma Tibet.
[Renato Persòli]